ABSTRACT
St. Josemaría conceived the Opus Dei as a way of holiness open to all, with the richness of
specific vocations according to the holiness of each person. The Prelature of the Holy Cross and
Opus Dei is necessary for the care of specific vocations, serving the universal calling to the holiness
of many more people who want to live the Gospel with the spirit of St. Josemaría, a spirit
characterized by secularity, the normality of ordinary life, without the need for particular
associative type signals, but with the affliction of the communion proper to the new commandment.
The risk is to foment specific vocations (both celibacy linked to baptism and not a vote, or
marriage) leaving without a real primary belonging those who approach the Opus Dei attracted by a
simple and beautiful Christian life amidst world. San Josemaría conceived the cooperators of the
Opera (those who want to live the spirit, because there are also co-workers among the non-Catholics
or among Catholics who travel other ecclesiastical streets) and the young people of Opus Dei,
entrusted to San Raffaele’s intercession, as part of the holiness of the whole Opera.
However, as it occurred to all founders, San Josemaria did not indicate the concrete way he lived to
open the hearts of those who came close to a charismatic primary membership. He has never
wanted to tell us exactly how to talk about a specific vocation to those who wanted to enter the
Prelature. Discourse is similar even if the performances required by any type of vocation, specific
or universal, are different.
It is crucial to think about what charismatic primary communion means and how to talk
about it to everyone. Everyone has to say clearly that the Gospel is a good news, open to all, to the
weak, to the sinners, through baptism and fraternal communion. Jesus makes his call resound
(baptism is vocational) for a follow-up in communion with others (and not just listening to a
catechesis) with a missionary mandate. Then it is possible to explain that the church is like a fleet:
to go to the new world you have to board.
Everyone is free to choose the ship best suited to him, but you cannot stay with one foot in and one
out: either inside or out, as for marriage, as to create a son. In full freedom, but with a bond. Love is
always bondage and belonging. The ship of Opus Dei has an helmsman as captain and numeraries,
and supernumeraries as officers. Then there are the sailors, all those who decide to attend a circle.
The latter are not to be classified in a lower category: they all are “A” series, all called to the adventure of holiness, which is the love of Jesus that makes us able to love all men, starting with
“domesticos fidei” as St. Paul says, from those who in the faith are of the same domus, are de iure or
in fact home.
Everyone can read The Way 301: “A secret, an open secret: these world crises are crises of
saints. God wants a handful of men ‘of his own’ in every human activity. And then… “Pax Christi in
Regno Christi” — the peace of Christ in the kingdom of Christ”. Holiness is not communal but is
always in primary charismatic communion. That “fist” of “his” men clearly indicates this
communion wherever there are Christians in the midst of the world. And we shall not think of them
a closed group of initiates, but of a communion of love for divine grace and mercy opened to all.
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L’Opus Dei e la chiamata universale alla santità
Dio ha sempre previsto i grandi mali del mondo, ma con un rimedio meraviglioso che è il Vangelo, come sequela reale di Cristo in comunione primaria carismatica, dove ogni fedele si sente portatore di un imperativo missionario aperto a tutti gli uomini. Purtroppo sequela e comunione primaria carismatica (che corrisponde al comandamento nuovo come carta costituzionale del Regno e non solo come esercizio di carità personale) sono state per circa 17 secoli lasciate ai voti religiosi, lasciando che la Chiesa istituzionale, pur predicando il Vangelo, offrisse di fatto solo una cura degli aspetti di religione della vita cristiana, ben lontani dall’avventura del Vangelo. A parole, con esortazioni e documenti del Magistero, si è sempre parlato dei contenuti di una fede viva, ma questa per essere vissuta ha bisogno di cammini reali di santità, che dovrebbero essere promossi dai pastori ovunque ci sono tre o più cristiani. Non sono le esortazioni e le catechesi che cambiano la vita, ma l’appartenenza, come si vede nelle innumerevoli sette o partiti ideologici o anche nel politically correct che fagocitano tutti da una parte o dall’altra. I primi cristiani erano “un cuore solo e un’anima sola”, assidui alla predicazione degli apostoli e unanimi nella preghiera. Con comunità dall’anima carismatica in meno di 20 anni si sono sparsi nel mondo intero allora conosciuto a patire dal medio oriente. Dopo Costantino si sono distinti due cristianesimo, quello dei precetti e quello dei consigli evangelici, con una interpretazione del tutto fantasiosa dell’episodio del giovane ricco (che in realtà vuol indicare il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento). Le parole più radicali del Vangelo non vogliono indicare due modi di vivere il cristianesimo, ma la radicalità della sequela di Cristo per tutti, in quanto vale più di tutto. “Chi non rinuncia a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo” non vuol dire privarsi di tutto o fare voto di povertà, ma capire che la sequela di Cristo (l’essere discepolo) vale più di tutto. Si è arrivati a pensare che il Vangelo sia solo per degli eroi, con molte penitenze e fatiche. Ma se si va a vedere in giro si scopre (come faccio in quasi tutti i miei scritti) che tutti hanno una “sequela” nel cuore e per essa sono pronti a fare ogni sacrificio, anche a costo della vita.
Per secoli si è pensato che l’aspirazione alla santità cristiana fosse possibile solo con i voti. Comunione primaria carismatica e mandato apostolico sono stati legati ai voti. Neppure il sacerdozio è stato vissuto in comunione primaria carismatica, ma in comunione primaria socio-sacrale, come altrove spiego.
San Josemaría non solo ha predicato la chiamata universale alla santità, legata al battesimo e non ai voti religiosi (che ha sempre rispettato e ammirato, come ricchezza preziosa della Chiesa), ma ha aperto un cammino nella Chiesa consono al Vangelo intero per tutti. Il Concilio Vaticano II ha sposato la chiamata universale alla santità, ma non ha detto come fare a proporla concretamente ad ogni cristiano in ogni parrocchia. I movimenti e le realtà carismatiche di fatto hanno trovato il modo di coinvolgere in un cammino di santità tanti laici, a partire dal battesimo, ma manca ancora la sufficiente riflessività sia sul fatto che tutti hanno una appartenenza primaria, che rende refrattari al messaggio del Vangelo se non si opera un cambio di appartenenza (conversione ecclesiale). Ma soprattutto occore riflettere come di fatto fondatori o sette di tutti i tipi riescono ad avere numerosi seguaci in poco tempo e con notevole facilità. Bisogna aver più coscienza del kerigma che non si può ridurre a dire che Gesù è risorto e ti ama. Occorre anche dire che Gesù è il Signore, nel Regno che ci unisce tutti a Lui. Il kerigma, l’”annuncio” di Gesù, era il Regno.
San Josemaría concepiva l’Opus Dei come cammino di santità aperto a tutti, con la ricchezza di vocazioni specifiche in funzione della santità di tutti. La Prelatura della Santa Croce e Opus Dei è necessaria per la cura delle vocazioni specifiche, a servizio della chiamata universale alla santità di molte più persone che vogliono vivere il Vangelo con lo spirito di san Josemaría, spirito caratterizzato dalla laicità, dalla normalità della vita ordinaria, senza bisogno di segnali particolari di tipo associativo, ma con l’afflato della comunione propria del comandamento nuovo.
Il rischio è di fomentare le vocazioni specifiche (sia al celibato legato al battesimo e non ad un voto, che al matrimonio) lasciando senza una reale appartenenza primaria coloro che si avvicinano all’Opus Dei attratti da una vita cristiana semplice e bella in mezzo al mondo. San Josemaría concepiva i cooperatori dell’Opera ( quelli che vogliono viverne lo spirito, perché di cooperatori ce ne sono anche tra i non cattolici o tra cattolici che percorrono altre strade ecclesiali) e i ragazzi dell’opera affidata alla intercessione di san Raffaele come di fatto partecipi all’afflato di santità di tutta l’Opera. Ma, come è successo con tutti i fondatori, non ha indicato il modo concreto che lui viveva per aprire il cuore di chi si avvicinava ad una appartenenza primaria carismatica. Del resto non ha mai voluto indicarci concretamente come parlare di vocazione specifica a coloro che desideravano entrare nella Prelatura. Il discorso è simile anche se le prestazioni richieste da ogni tipo di vocazione specifica sono diverse.
È fondamentale riflettere su cosa vuol dire comunione primaria carismatica e su come parlarne a tutti. A tutti occorre dire con chiarezza che il Vangelo è buona novella, aperta a tutti, ai deboli, ai peccatori, attraverso il battesimo e la comunione fraterna. Gesù fa risuonare la sua chiamata (il battesimo è vocazionale) per una sequela in comunione con altri (e non solo un ascolto di una catechesi), con mandato missionario. Poi si può spiegare che la chiesa è come una flotta: per andare nel mondo nuovo occorre imbarcarsi. Ognuno è libero di scegliere la nave più adatta a lui, ma non si può rimanere con un piede dentro e uno fuori: o dentro o fuori, come per il matrimonio, come per generare un figlio. In piena libertà, ma per legarsi. L’amore è sempre legame e appartenenza. La nave dell’Opus Dei ha come capitano e timoniere dei numerari; come ufficiali i soprannumerari; e poi ci sono i marinai, tutti coloro che decidono di andare al circolo. Non sono di serie B o C, ma tutti di serie A, tutti chiamati all’avventura della santità, che è amore di Gesù che ci rende capace di amare tutti gli uomini, ad iniziare dai “domesticos fidei” come dice san Paolo, da coloro che nella fede sono della stessa domus, sono di diritto o di fatto di casa.
Se l’Opera di san Raffaele e di san Gabriele non sono di fatto cammino di santità, in comunione primaria carismatica, allora la vocazione specifica dei membri della Prelatura dell’Opus Dei rischia di legare la santità non più al battesimo, ma alla chiamata specifica. Non saranno i voti religiosi, ma si tratta sempre di qualcosa di specifico.
Riporto due quadernetti scritti anni fa su questo tema. Uno più adatto a chi voglia capire cosa propone l’Opus Dei, l’altro più specifico per chi si ritrova a fomentare una vita cristiana autentica con lo spirito del Fondatore dell’Opus Dei. Ci sono ripetizioni dovute ai diversi momenti in cui ho scritto, ma si spera di non stancare il lettore, visto che il tema è di grande importanza.
UN IDEALE CRISTIANO
L’Opus Dei per i giovani
Distinguere nel cristianesimo religione e fede
Per troppi secoli ai fedeli cristiani è stata lasciata solo la dimensione religiosa del cristianesimo, relegando l’incontro personale con Cristo e i tesori vissuti della Fede soprannaturale nei conventi o in qualche santo nascosto in mezzo al mondo. La dimensione religiosa è di tutti gli uomini, anche atei o agnostici. Non si può fare a meno di un anelito all’assoluto e ad un legame sociale “primario” per il quale anche gli atei fanno immensi sacrifici, fino anche a giocarsi la vita. L’assoluto lo si può mettere in qualsiasi idea o valore relativo che diventi il dogma di quel gruppo (politico, professionale, religioso, settario, ludico): si muore per Hitler o per Stalin, si fanno sacrifici immensi per il proprio lavoro che dà successo e immagine presso le persone che circondano, ci si droga in discoteca per non essere presi in giro dai coetanei, ecc.). E si possono individuare riti, liturgie, profeti, libri sacri in tutti i gruppi ideologici o anche in chi si schiera con i relativisti attuali. Il fatto è che non si può vivere senza amore, senza legami significativi, e dove il cuore li sente accetta ogni idea che li rafforzi, che dia potere all’interno della dimensione sociale in cui si vive.
La religione è fondamentale, anche se il peccato la confonde al punto da essere vissuta in modo totalmente idolatrico o anche perverso (pensate ai terroristi o ai gruppi satanisti che ci sono in Italia, fino alle “bestie di Satana). La Rivelazione ebraico-cristiana purifica la religione, e nel cristianesimo ortodosso la porta al meglio che la storia abbia conosciuto. Ma anche nel cristianesimo ciò che è di religione non basta per salvare il cuore dalle sue paure, dalle divisioni, e dall’esclusione dal cielo.
La religione è il rapporto con Dio (spesso sostituito da idoli come la razza, il nazionalismo, il relativismo, lo scientismo, ecc.) attraverso persone e cose sacre, sacerdoti e sacramenti, luoghi sacri e tempi sacri (le feste), riti e culto, morale e precetti. Con la religione purificata dalla fede cristiana riconosciamo che Dio ha creato il mondo e che è rimuneratore; che è giusto lodarlo e ringraziarlo per i doni della creazione, ma anche rivolgersi a Lui, onnipotente, per risolvere i nostri problemi, sperando che ci ascolti. Tutte cose importanti, anche quella di chiedergli aiuti, visto che nessun uomo può vantarsi di risolvere da solo tutti i suoi problemi. Ma Dio rimane esterno e anche molto lontano dalla vita quotidiana.
La fede soprannaturale, cuore del cristianesimo, viene dalla rivelazione, ascoltata e letta con lo Spirito Santo, che ci dà quello che ci rivela: il Verbo eterno si è incarnato per me, è morto per me, ed è risorto, vivo, in me, con me e tra noi, come dice san Paolo: “La mia fede è nel Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato la sua vita per me”. È decisivo il “per me”, l’incontro personale. Categorie della fede sono il Dio che ci parla, che si avvicina e viene tra noi, che opera un incontro personale e ci raduna in modo nuovo nel suo Regno: la fede si vive in un legame di amore nuovo, che si alimenta con l’orazione personale, con l’eucarestia e con la Parola. Tutto questo si può credere e vivere solo nel dono di grazia; non appartiene alla capacità religiosa dell’uomo: “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrarono nel cuore di uomo, queste ha preparato Dio per coloro che lo amano. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito” (1 Cor 2, 9-10). Gesù stesso dice: “senza di me non potete fare nulla”. Ora la ragione umana, aperta alla sapienza e alla causa ultima, a Dio stesso, capace di religiosità e di misticismo profondo, di fatto, e nonostante il peccato, può conoscere e operare molte cose; ma rimane nell’ordine della religione, non può entrare in ciò che solo lo Spirito può darci; non sfiora il dono soprannaturale della vita trinitaria che Gesù ci ha guadagnato sulla croce, l’amore aperto a tutto il futuro.
La ragione e la religione in nessun modo possono pensare la Trinità o l’Incarnazione del Verbo, come anche la sua risurrezione. È in questo senso completo della parola fede che la si deve distinguere da ciò che è di religione, anche nel cristianesimo.
San Josemaría è il santo che ha creduto che il fedele cristiano, in qualunque situazione di vita si trovi, può scoprire che è figlio di Dio e vivere in intimità con Gesù. Col suo invito a trovare Gesù nel bel mezzo della strada, nel lavoro, in famiglia, in vacanza o nella malattia, san Josemaría ha reso esplicito l’aspetto pasquale della fede cristiana: Gesù non si fa trovare solo nella protezione di mura sacre, al riparo dai venti del mondo, ma proprio lì dove sei: “sarò con voi ogni giorno, fino alla fine del mondo”. Si legge nella sua omelia Amare il mondo appassionatamente: “Non vi è altra strada, figli miei: o sappiamo trovare il Signore nella nostra vita ordinaria, o non lo troveremo mai, (…) Per questo vi ho ripetuto, con ostinata insistenza, che la vocazione cristiana consiste nel trasformare in endecasillabi la prosa quotidiana. Il cielo e la terra, figli miei, sembra che si uniscano laggiù, sulla linea dell’orizzonte. E invece no, è nei vostri cuori che si fondono davvero, quando vivete santamente la vita ordinaria”. Per questo, però, ha dovuto aprire un cammino di fede ben diverso da quello degli ordini religiosi, con uno stile laicale, di normalità, nel lavoro, che richiede una direzione spirituale adeguata, in modo da coniugare con unità di vita semplice e forte gli aspetti professionali con la vita interiore, di orazione e di presenza di Dio, e con l’apostolato che ogni cristiano è tenuto a sviluppare, ma in modi molto diversi dai missionari o altri consacrati.
Il Dio lontano diventa “il Dio della mia vita”: “Bisogna convincersi che Dio ci sta vicino continuamente. Viviamo come se il Signore fosse lassù, lontano, dove brillano le stelle, e non pensiamo che è sempre anche al nostro fianco. // E lo è come un Padre amoroso -vuol bene a ciascuno di noi più di quanto tutte le madri del mondo possano voler bene ai loro figli- per aiutare, ispirare, benedire… e perdonare. // (…) Bisogna che ci imbeviamo, che ci saturiamo dell’idea che è Padre, e veramente Padre nostro, il Signore che sta vicino a noi e nei cieli” (Cammino 267).
Molti giovani trovano la messa domenicale pesante e imposta perché la vedono solo come rito esterno e sono tentati di lasciarla. Cambia tutto in quei giovani che scoprono Cristo in modo personale e in comunione con altri. Molti giovani hanno idea che a mettersi con tutto il cuore dalla parte di Gesù c’è da sacrificarsi molto, rinunciare a cose che a loro piacciono. In realtà non si accorgono che per essere apprezzati tra gli amici sono capaci di sacrifici in genere molto maggiori di quelli impliciti in una bella vita cristiana. Chi si innamora di Cristo si va liberando dalla grande schiavitù di dipendere dall’approvazione degli altri, dal successo e insuccesso, dalla lotte di potere e dalle comparazioni spesso colpevolizzanti. Chi invece lascia Gesù in chiesa non vive di fede e cerca le considerazioni umane schiavizzanti. Giovanni Paolo II a Bratislava diceva: “nel nostro tempo non sono pochi i cristiani battezzati che ancora non hanno fatta propria, in maniera adulta e consapevole, la propria fede. Si dicono cristiani ma non reagiscono con responsabilità piena alla grazia ricevuta: ancora non sanno che cosa vogliono e perché lo vogliono. Ecco la lezione da accogliere oggi: è urgente educarsi alla libertà”. Parla di libertà! Libertà dalle schiavitù dell’amor proprio e dell’orgoglio, libertà di scegliere, nella Chiesa, con vincoli di amore a Gesù e tra noi, in vera comunione familiare. I discepoli di Emmaus erano tristi e disfatti, tornavano ad una casa vuota, sconfitti. Nell’incontro con Gesù risorto nasce la fede cristiana, la vita nuova, l’amore nuovo, la libertà nuova, il comandamento nuovo! E soprattutto sono investiti da una nuova missione, un nuovo compito per la loro vita, testimoniare la salvezza. Ora è gente che ha qualcosa da dire al mondo, qualcosa per cui vale veramente la pena di vivere.
Il Dio che mi parla, mi chiama: la fede ha sempre una dimensione vocazionale. Giovanni Paolo II ci ha dato un documento fondamentale rivolto ai fedeli laici. In quel documento, la Christifideles laici, diceva che la Chiesa ha come desiderio più profondo “l’ascolto da parte dei fedeli laici dell’appello di Cristo a lavorare nella sua vigna, a prendere parte viva, consapevole e responsabile alla missione della chiesa” (n° 3). È chiara lavocazione personale a lavorare nella sua vigna, in comunione con i fratelli, e la missione, o compito che ogni cristiano deve sentire come direttamente affidatogli da Cristo, pur nella comunione della Chiesa; da notare che con la sola religione si lascia l’apostolato a specialisti, missionari o predicatori, mentre è nel battesimo che si radica il compito di carità fraterna e di apostolato.
Se la fede corrisponde alla chiamata personale di Cristo, si può dire che la preghiera più forte e più bella che Dio possa udire è un sì! Maria ce ne dà l’esempio più sublime: fiat mihi secundum verbum tuum.
Tutti hanno un legame sociale primario
Bisogna capire di più del primato dell’amore in tutti i problemi umani. Il bisogno di amore è viscerale, cromosomico. La sessualità è chiaramente nel genoma umano e implica apertura ad altri. Ma non solo il fisico, ma anche l’emotività è nel genoma, come si dimostra con tutta evidenza negli animali con il loro branco, che non è solo richiesto dalla sessualità. Recenti studi sui neuroni specchio aprono orizzonti notevoli sulla socialità congenita. L’uomo con lo spirito si apre oltre il branco, ma senza poterne fare a meno: si ritrova a vivere in comunità vitali, tribù, clan, partito ideologico, etnia, villaggio, gruppi di coetanei ai nostri tempi, ecc., che si caratterizzano per essere vincolo primario rispetto ad altre relazioni sociali di tipo funzionale. Anche chi pensa di essere del tutto indipendente e soggettivista non sa quello che dice. La libertà stessa è voluta da Dio per legarsi in vincoli di amore; di fatto, essendoci poco amore genuino, c’è ben poca libertà. Chiamano libertà quella di drogarsi, di far violenza, di sfruttare la sessualità, poi vai a vedere bene e si scopre che sono atteggiamenti forzati da un gruppo di riferimento. Ed è che senza un legame primario in cui sentirsi riconosciuti (problema di amore!) non si può vivere. I suicidi avvengono quando di fatto o per depressione non si sente più un legame primario, una casa che mi riconosca. Per questo quando un uomo è lasciato da una donna cade in depressione.
Questo ci fa capire meglio le importanti parole di Giovanni Paolo II, nella sua prima enciclica: «L’uomo non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere incomprensibile, la sua vita è priva di senso, se non gli viene rivelato l’amore, se non s’incontra con l’amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente» (Redemptor hominis n° 10). Si riferisce all’amore di Dio per ogni uomo, ma è ben chiaro che il nostro accorgerci dell’Amore suscita necessariamente l’amore nostro per gli altri. Da giovane, nel 1946, Karol Wojtyla scriveva in una sua poesia: «L’amore mi ha spiegato ogni cosa, / l’amore ha risolto tutto per me– / perciò ammiro questo Amore / dovunque Esso si trovi», nella poesia Canto del Dio nascosto, in Opere letterarie, Ed. Vat. P. 55. Benedetto XVI molte volte torna su questo primato dell’amore; una chiara asserzione è del marzo 2010, al Presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, per un incontro con giovani: «Imparare ad amare: questo tema è centrale nella fede e nella vita cristiana. (…) L’uomo è fatto per amare; la sua vita è pienamente realizzata solo se è vissuta nell’amore. (…) È questa la chiave di tutta l’esistenza». Da cardinale ebbe a dire: «ma non sappiamo tutti che l’amore è la parola suprema, l’ultima vera parola su tutto il reale?».
Si può partire dalla constatazione inequivocabile che tutti i grandi apostolati, a partire da quello di san Josemaría, ma vedendolo in tutti i fondatori del secolo XX per limitarci a ciò che abbiamo sotto gli occhi, sono fioriti sviluppando una forte condivisione di cuori, un sano e forte spirito di corpo, che si dà solo in una realtà primaria. I primi cristiani formavano sempre comunità primarie, come ben appare dagli Atti degli apostoliquando si dice che i cristiani erano cor unum et anima una; purtroppo le parrocchie solo raramente permettono una appartenenza primaria. Con lo spirito dell’Opus Dei non vale la parola gruppo; però vale tutto il comandamento nuovo, l’amicizia, la condivisione del compito di aiutare Gesù a santificare le persone nel loro posto di lavoro. Il compito comune ci fa abitare nella stessa casa, nella stessa famiglia. Qualcosa di primario nell’amore, un legame primario, altrimenti pensiamo di creare un ambiente di “casa” con ragazzi che hanno un gruppo primario potentissimo che si raduna il sabato sera. In questo caso l’andare al circolo, la scelta cristiana, la scelta di Gesù, sarebbe secondaria e inefficace.
Per la comunione primaria si da’ la vita, per un interesse secondario si dà pochissimo. Un esempio della differenza abissale tra gruppo primario e gruppo secondario lo si può cogliere leggendo Il cavallo rosso, di Eugenio Corti: la differenza di eroismo, perseveranza, generosità, altruismo degli alpini rispetto ai soldati sbandati dell’esercito in rotta, è dovuta proprio al fatto che gli alpini, come i bersaglieri, formavano un gruppo primario, con i capi che combattevano in mezzo a loro. Alla GMG si crea un clima meraviglioso, anche perché circa un terzo sono ragazzi appartenenti a realtà primarie, ma gli altri hanno il cuore nel gruppo di coetanei con cui si vedono la sera, e allora la comunione in Cristo rimane molto secondaria. Si torna a casa e riprende la vita piuttosto pagana. Nella Chiesa, specie dopo il Concilio si parla molto di comunione in Cristo, di comunità, ma normalmente non si riesce a distinguere una comunione primaria e pertanto si rimane a tentativi di aggregazione molto secondari, di una qualche catechesi, che presto stancano, visto che se non hanno un legame primario in Cristo ce ne hanno senz’altro un altro sociale che fagocita il cuore. Per tanti cristiani Gesù è una persona affascinante, il Vangelo è sublime, si rimane ammirati, ma come di un personaggio che si ascolta e poi ciascuno torna a casa sua. Comunione primaria vuol dire mettere casa insieme. I discepoli di Emmaus rimangono ammirati e giungono ad invitare Gesù a casa. Gesù si fa invitare, fa finta di voler andare oltre. Se non lo vogliamo a casa nostra Gesù rimane fuori dalla nostra vita, non si tesse una relazione profonda con Lui e tra di noi in Lui. Solo con una scelta di condivisione, che prende il cuore e il fine profondo di tutte le nostre azioni, possiamo vivere nel Vangelo, da cristiani coerenti con la propria fede. Se non voglio che Gesù abiti a casa mia, insieme ai fratelli, rimango quello che sono, con paure e presunzioni, buona volontà e sotterfugi, pur ammirando Gesù Cristo e non disdegnando qualche pratica religiosa.
Lo spirito di corpo è in tutti. È naturale e può diventare soprannaturale a Pentecoste. È però anche il luogo del peccato originale, in quanto il bisogno assoluto di amore lo si cerca col cuore dagli altri e non da Dio. Proprio questo bisogno primordiale e radicale di amore diventa il luogo dove sostituire la fonte divina dell’amore. Sostituendo l’immagine divina con l’immagine davanti agli altri si diventa pronti ad operare anche con molto sacrificio in tutte quelle prestazioni che garantiscono l’approvazione della propria società vitale. Per essere importanti per gli altri si curano quelle prestazioni che nella mia tribù mi danno immagine. Però da questo nascono i confronti, le lotte di potere, la ricerca spasmodica di successo, la grande paura e angoscia per l’insuccesso. In ogni tribù sorge conflittualità.
La ragione viene fagocitata dal bisogno di consenso esistenziale: non si pensa per cercare la verità, ma per aver ragione, per aumentare il mio potere nella tribù: lo si vede perfettamente nei gruppi di coetanei. E così non ci si capisce tra tribù diverse: lo abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni. È molto importante capire questo, perché altrimenti non si capisce perché sia così difficile dialogare con chi appartiene ad altre “chiese” o gruppi o partiti di ogni genere. Si tratta del problema religioso di fondo: tutti hanno bisogno di un legame forte di amore che proviene dalla creazione divina, ma che si cerca da coloro che appartengono alla “casa comune”. Anche gli atei hanno “chiesa”, dogmi e qualche principio morale imposto come legge all’interno del proprio gruppo o area culturale. Anche il relativismo assoluto è un dogma per gli adepti. Se fossero veramente atei non avrebbero una morale: lo canta anche Vasco Rossi nella canzone “Stupido hotel: “Ora che sono Ora che sono qui / In questo stupido stupido hotel / E non sei qui con me. / Tutto mi sembra inutile / tutto mi sembra com’è /Farmi la barba o uccidere / Che differenza c’è?”. Un ragazzo lasciato dalla ragazza si sente come morire, morire all’amore, al legame primario che dà senso alla vita. È la situazione più “atea” di fatto, mentre gli atei di fatto sono sempre “religiosi”, nel loro gruppo primario. Nel vuoto angosciante di amore si vive l’insignificanza di ogni dovere morale: “Farmi la barba o uccidere / Che differenza c’è?”. Ma è un sentire patologico, che al rovescio conferma il bisogno assoluto di amore e della fonte divina dell’amore. La canzone fa eco a Dowstoieskj, che mette sulla bocca di Ivan Karamazof la famosa frase: “se Dio non esiste tutto è possibile”; invece tutti quelli che si proclamano atei pretendono pure di essere i veri paladini di una morale umana, ragionevole, equilibrata, contro le imposizioni fondamentalistiche della Chiesa. Questo dimostra che proprio loro sono fondamentalisti.
Da tutto ciò deriva che ogni comunità è come un tunnel in cui le notizie e i problemi rimbalzano contro le pareti interne e ognuno è convinto di saperne molto più di chi fa parte di altre “chiese”. Così si spiega che i modi di pensare la vita siano così diversi e così incomunicabili, anche tra gente che va alla stessa scuola o lavora insieme. Sant’Agostino ha intuito il problema di fondo: Amor meus, pondus meus. Eo feror quocumque feror. Comunque mi muova o dovunque io vada è il peso del mio bisogno di amore che mi spinge e mi guida. Il bisogno di amore smuove le fibre più recondite. Solo che in genere è amore capovolto: amor proprio. Nemo est qui non amet, sed queritur quid amet.
Chi può pensare di convincere un gruppo di musulmani? Ma succede lo stesso tra sindacati e imprenditori, tra destra e sinistra, tra un gruppo e l’altro. Ognuno ha un paradigma di interpretazione della realtà, un circolo ermeneutico in cui gira all’infinito anche se il raggio è quello di un bottone, e crede di sapere tutto, forte del consenso interno al gruppo, e di sapere meglio di chi non la pensa come lui. Tanto che quando uno ha successo nel suo gruppo primario, per banale o perverso che sia, è inutile farlo riflettere sulle grandi domande della vita: chi sono, da dove vengo, dove vado. Chi ha successo ha il cuore momentaneamente appagato dallo pseudo amore che il successo surroga. Nei gruppi di coetanei si crea un settarismo chiuso ad ogni influenza dei genitori ed educatori, impedendo l’efficacia dei mezzi di formazione. Con la Rivelazione, la cattolicità della Chiesa che apre ogni gruppo cattolico al di sopra di se stesso (il Vangelo è di tutti e non di una sola parrocchia, e così Maria, il Papa, l’Eucarestia…), è possibile crescere nella verità divina e liberarsi dal settarismo. Solo i santi vanno emergendo dalla chiusura settaria del proprio gruppo e liberano la ragione alla ricerca della verità oggettiva. Bisogna capire che dove c’è il gruppo primario si fanno tutti i sacrifici necessari, senza chiamarli così. Si diventa “liberi di drogarsi”, “di ubriacarsi a 13 anni”, ecc. Ripetendo che un legame primario lo hanno tutti e che nel cristianesimo viene elevato al Regno, con un nuovo amore datoci dallo Spirito Santo, qualcuno può pensare che si propone un cristianesimo di elite, chiuso e presuntuoso se non settario. Ma non è così, perché il legame primario corrisponde al cromosoma e il problema c’è comunque, perché tutti e sempre hanno un gruppo primario, anche se non lo sanno. Pertanto se ne può usciere solo con un legame primario in Cristo, nell’Amore di Pentecoste che supera ogni lingua, ogni appartenenza settaria. Semmai si pone un problema di autenticità dentro ogni comunità cristiana, ma non che sia possibile lasciare la vita cristiana a semplici mezzi di formazione.
Qualcuno domanda: come posso sapere qual è il mio legame primario? Basta vedere dove si fanno grandi sforzi senza chiamarli sacrifici, e guai se i genitori me li impediscono. Può essere nello studio se cerco immagine presso coloro che mi valutano per oggi e per domani, può essere la faticaccia di ore in discoteca, mai vista come fatica, ma come “libertà”, può essere un gruppo ideologico con libertà di rischiare la vita. Succede anche col fidanzamento, e non è da temere se si vuole vivere l’amore umano come Dio lo ha creato. Là dove non devo fare propositi perché è il cuore che mi comanda. Spesso si può individuare il momento in cui si cambia gruppo primario per la novità di vita, di motivazioni, di legami che si riscontrano da quando si è stati accolti in un ambiente nuovo, sociale o religioso. Giovani rivoluzionari, scouts, conversione religiosa, ecc. sono caratterizzati da quello che è stato chiamato statu nascenti, una specie di euforia e piena adesione del cuore che corrispondono grosso modo con quello che è l’innamoramento di un ragazzo con una ragazza. Come l’innamoramento può accecare sulle qualità dell’altra persona, così lo statu nascenti può far credere di aver trovato la verità assoluta in qualunque gruppo.
Deve essere chiaro che il gruppo primario di per sé non è un male, perché è assolutamente necessario per tutti in quanto corrisponde alla creazione ed è elevato al legame forte di Pentecoste, in Cristo, nel suo Regno. È nei legami forti di amore che la vita prende senso. La fede viva è sempre in comunione forte in Cristo, con la garanzia della Rivelazione e di tutta la Chiesa. Il primo “gruppo òprimario” è la Trinità! Pentecoste fu un vero statu nascenti. A Pentecoste c’erano gente di varie lingue, e cioè, chiaramente, gruppi primari ben distinti e chiusi in se stessi, pronti a far guerra alle altre lingue. Pentecoste unisce pur lasciando ciascuno nella sua lingua, e pertanto ancora nel suo ambiente sociale, ma aperto in alto, con un legame primario più grande che comprende tutti i più piccoli, in armonia. Pentecoste infatti instaura il Regno, la Nuova ed eterna alleanza, dove tutti possono appartenere, pur di culture e tradizioni diverse. Lo Spirito Santo ci fa figli di Dio, in comunione con Cristo e in relazionalità trinitaria. Lo Spirito del Cristo risorto ha fatto loro riconoscere non solo il volto nuovo e intimo del Cristo risorto, ma anche che ogni persona come membro della stessa comunità di fede. Diventiamo tutti persone che si appartengono; e la nuova comunione spinge necessariamente alla missione, per far conoscere a ciascuno la novità della possibilità della sua redenzione.
Molti cristiani, però, non hanno mai provato lo statu nascenti in una conversione viva a Gesù e alla sua Chiesa, in una comunità concreta. Nella Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II la chiama spiritualità di comunione. Nessuno dubita che il cristianesimo si possa vivere solo in comunione, nella Chiesa; ma miriadi di cristiani che si sentono nella Chiesa di fatto vivono questa appartenenza come del tutto secondaria. Il problema è proprio capire che la comunione in Cristo o è primaria o non è. E occorre saper distinguere bene tra religione e fede, perché vari cristiani hanno un gruppo primario a livello di religione (come i sacerdoti nel Presbiterio alcuni in parrocchia), ma pochi hanno un gruppo primario di tipo carismatico nella fede.
Si può pensare certamente che i tempi sono duri, ma là dove c’è comunione primaria nella fede si fa fronte benissimo al secolarismo imperante, al pansessualismo giovanile, all’ambiente anche ostile in cui dobbiamo muoverci, alla fragilità della fedeltà. Oggi è difficilissimo trovare un sacerdote che sappia parlare ad un giovane di un fidanzamento casto, mentre nei gruppi primari cattolici lo si vive sufficientemente bene. Si tratta proprio di entrare in un paradigma che era di san Josemaría e degli apostoli del nostro tempo sopra citati, e che noi rischiamo di leggere con un paradigma molto più ridotto.
Il comandamento nuovo non si esaurisce da persona a persona, ma indica comunione, nel suo Regno, con Cristo risorto e tra di noi. Più che un “io-tu” la carità fraterna opera un “noi”. Oltre alle virtù personali che sostengono la carità, è fondamentale sviluppare virtù relazionali. Si può essere molto bravi e onesti, ma senza toccare il cuore degli altri. Succede a molti coniugi di essere responsabili ma di non saper toccare il cuore dell’altro coniuge o dei figli. Dice san Giovanni: “se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri” (1 Gv 1, 7). Sant’Agostino cita e commenta altre parole di quella lettera: “«La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi scriviamo, perché la vostra gioia sia perfetta» (cfr. 1 Gv. 1, 3-4). Afferma la pienezza della gioia nella stessa comunione, nello stesso amore, nella stessa unità” (Trattati sulla prima lettera di Giovanni, 1, 1, 3). Il comandamento nuovo è un bene relazionale, che trascende il bene dei singoli. Un po’ come le parole messe in una poesia, ognuna acquista una ricchezza che trascende la parola stessa. Come l’idrogeno e l’ossigeno, se messi bene insieme formano l’acqua che non è una semplice somma. Fuori dalla comunione primaria nessuno può capire il bene (o il male!) in essa partecipato.
Tra le tante citazioni a sostegno di questo “noi” primario, mi accontento di queste due: “Allora possiamo domandarci cosa significhi per noi l’essere tutti cor unum et anima una, perché non può significare semplicemente aderire al cuore di Cristo, senza nessuna conseguenza per la nostra vita”, di san Josemaría. E una frase di Benedetto XVI nell’Omelia della messa a Erfurt, 24/9/11: “Questo grande “con” senza il quale non può esserci alcuna fede personale”.
La comunione in Cristo è legame più forte di tutti gli altri legami. Ci sono due parole chiave nella predicazione di Gesù: il Regno è vicino, convertitevi: Regno e conversione. Il Regno è proprio il legame primario, nello Spirito Santo, con cui Gesù ci redime dal peccato, che si abbarbica nel cuore dei legami primari terreni. Ma è con un amore più grande che ci salva; con un vincolo primario che relativizza gli altri. Per questo però occorre una conversione; non basta prendere la tessera, andare ai riti cristiani, secondo quella che è religione cristiana ma non ancora fede vissuta.
Gesù era consapevole che non sarebbero stati i suoi miracoli a salvare il mondo. Insegna continuamente, ma non affida la sua salvezza ad uno scritto; la sua grande fatica è formare una comunione, dodici apostoli che facciano esperienza di Lui in comunione. Non istruisce dei suoi agenti pubblicitari, ma forma un collegio che sarà portatore della sua presenza tra loro, per tutti. E non si risparmia fatiche: sceglie i suoi apostoli senza scansare grandi contrasti, come tra galilei e giudei, tra partigiani come Simone lo zelota e collaborazionisti dell’impero romano come Matteo.
Gesù ci dice in tutti i modi che la comunione che nasce tra noi in quanto Lui è con noi, deve valere più degli altri vincoli di comunione, come tra genitori e figli, coniugi, o fratelli e sorelle. Solo un legame di amore più alto può unire i cuori al di sopra del settarismo di un gruppo sociale. Pentecoste è la nuova Alleanza, il nuovo Regno, dove ci si ritrova non per i propri meriti, le proprie prestazioni, ma per dono gratuito, di grazia.Dono ontologico, di filiazione divina, che però può rimanere sconosciuto in quanto travolto da quei legami in cui le persone si ritrovano. Così si può facilmente constatare che pochi cristiani fanno della loro comunione nella chiesa locale o personale un vero legame primario. E allo stesso tempo c’è da dire che anche i gruppi primari giovanili cattolici non sono ancore una vera comunione operata dallo Spirito Santo. Questa è il portato della santità cristiana e di gruppi carismatici finché rimangono tali (quando l’istituzione prevale sulla comunità rimangono gruppi primari, ma di stampo religioso-sociale più che di fede e comunione pentecostale).
Giovanni Paolo II nella Novo millennio ineunte fa della spiritualità di comunione una delle due colonne del rinnovamento pastorale della Chiesa per il nuovo millennio, secondo lo spirito del Concilio Vaticano II. Di fatto questo vincolo non si dà frequentemente, se non nelle realtà carismatiche che impreziosiscono la Chiesa Cattolica. Nella Christifideles laici, diceva della “responsabilità che tutti i fedeli laici hanno nella comunione e missione della chiesa” (n° 2). Ciò vuol dire assunzione libera di un vincolo di amore aperto apostolicamente, che caratterizza la fede cristiana in senso ecclesiale, in una comunione che presiede a tutti gli altri legami di amore.
San Josemaría non usava parole clericali né voleva comunità cristiane per il suo apostolato, ma creava una comunione profondissima. Comunione non vuol dire comunità; questa è una unione di persone, e viene dall’etimo cum-unitate, quella viene dall’etimo cum-moenia e cum-munus: gente con un compito comune che configura una città nuova: moenia sono le mura sacre che indicano una comunione davanti a Dio e agli uomini. Lui parlava di vita di famiglia, di “casa” e in torno a Lui si creava un vincolo di amore senz’altro primario, con uno spirito di corpo sano e santo (Pentecoste!) che rende pronti anche a dare la vita per il bene di tutti. Parlando dei ragazzi che frequentano il circolo senza essere membri dell’Opus Dei, diceva che di fatto formano parte della famiglia soprannaturale che è l’Opus Dei, volendone ricevere volontariamente (liberamente) il suo calore e collaborando nell’apostolato. Scriveva: “Devono rendersi conto che partecipano attivamente a qualcosa di molto importante. Perché vengono per rendersi disponibili, per essere più avanti buoni genitori o, se Dio vuole, anime totalmente dedicate al suo servizio. Per questo si chiede loro impegno, serietà, un principio di condivisione, senso di responsabilità (…). È tuttavia chiaro che coloro che vengono a formarsi con noi sentono un cambio, una scossa interiore, che permetterà a molti di cambiare la loro vita e a tutti sveglierà nella loro coscienza l’obbligo di lottare per vivere come cattolici coerenti”
Va tenuto presente anche il fatto che per san Josemaría era ed è molto importante non fare gruppo, mentalità di associazione, movimento o altro. Questo però può portare a parlare più di formazione che di appartenenza, mentre dovrebbe darsi una spinta contraria: dato che non possiamo porre davanti agli occhi un gruppo compatto, con le divise come gli scouts o con una comunità forte come in vari Movimenti, dove si dà visibilmente un “dentro” o un fuori”, è molto più importante prendere coscienza di come la scelta del circolo è scelta radicale di un cammino di fede, che rende portatori di un compito divino, insieme agli altri che vanno ai circoli e alle persone dell’Opera. Scegliere Cristo è possibile solo in comunione. Chi vuole andare al circolo deve capire che è una scelta di comunione, pur nello stile di assoluta semplicità proprio dell’ideale di santificarsi in mezzo al mondo, nel lavoro quotidiano. E pertanto sentire l’appartenenza (come è stato detto: “essere è appartenere”), e voler imparare ad amare.
Fede, ben intesa, è anche sinonimo di santità, nel senso che lo Spirito Santo può santificare il peccatore. Ma lo può fare solo se noi lo vogliamo, se lo lasciamo entrare senza condizioni, senza chiedere sconto, senza mezze misure. Mezzo Vangelo non serve a nulla; è come sposarsi a metà! Il Vangelo è meraviglioso solo per quelli che lo sposano. Gesù ha bisogno di amici, ha bisogno di te. Chi non intravede la bellezza del vivere in Cristo non ha occhi per vedere e non desidera, calcola, si ritrae su di una linea di mediocrità, che magari ritiene cristiana, ma non lo è. E non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire.
Non si tratta di essere eroici e di puntare ad una perfezione di virtù e di comportamento, ma di credere che possiamo innamorarci per grazia, e nell’amore operare conformemente al Vangelo. Il calcolo di quanto costa seguire Gesù finisce per corrompere l’amicizia con Gesù. Il Vangelo non è un libro da leggersi per metterlo in pratica; è molto al di sopra della nostra pratica, per eroica che possa essere. È un libro da ascoltare direttamente da Gesù, da desiderare, per chiedere continuamente di essere convertiti ad esso. San Paolo dice che nessuno senza Spirito Santo può dire “Gesù è il Signore”, cioè l’amore sovrano del mio cuore. Questo non ci allontana il Vangelo, ma lo rende vicinissimo a tutti, proprio perché non è da noi poterlo vivere, ma dono per chi non lo merita. E allora non c’è nessuno che in partenza sia più dotato. I santi sono coloro che hanno creduto, che hanno chiesto fede e carità con molta fiducia, desiderando la conversione a Cristo e il servizio agli uomini più di qualunque altro desiderio. La condizione è volere, desiderare, chiedere, con umiltà, fiducia e insistenza: “cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto, chiedete e vi sarà dato”.
Cosa scoprire per andare al circolo
San Josemaría parlava subito del sogno che Dio gli aveva mostrato il 2 ottobre del 1928: si sono aperti i cammini divini della terra… Il Signore non si è dimenticato di te… non solo i religiosi e i preti sono chiamati alla santità. Chi capiva si univa al suo apostolato, fecondo e in continua espansione. Alcuni chiedevano l’ammissione all’Opera come numerari, altri sarebbero diventati cooperatori o soprannumerari; qualcuno si perdeva per via. Non era una proposta di semplice formazione o di catechesi, bensì una scelta possibile e libera, per chi capiva. Nostro Padre suscitava una risposta praticamente immediata, a meno che non reputasse di dover aspettare. Lo si vede benissimo in quel giorno a Valladolid in cui spiegò l’Opera (“si sono aperti i commini divini della terra…”) ai primi ragazzi conosciuti in città, chiamati al telefono, e poi disse loro: chi ci sta vada e torni tra un’ora con un amico. Da quel momento tutti si sentirono pienamente partecipi, “di casa” e cioè in comunione piena, primaria, con san Josemaría e tra di loro, e si dovettero fare subito tre circoli.
Se si vuole essere cristiani occorre partire da Cristo, riconoscerlo vivo, risorto, che mi cerca, perché è morto per me, e mi chiede se voglio stare con Lui. È richiesta vocazionale, ma non per andare in convento o scegliere il celibato, ma per essere cristiani! Essere di Cristo, come portato del battesimo e della vita di fede, ben diversa da un po’ di religione. È l’unico modo di porsi di fronte al Vangelo1. Molti si sono illuminati al capire che Gesù ha bisogno di noi; c’è un urgente bisogno di cristiani disposti a dare una mano a Gesù con la propria vita. Ogni vocazione ha una missione. San Josemaría ha reso possibile capire che la missione non è per specialisti dell’apostolato, per missionari o predicatori, ma è propria del battesimo, dei figli di Dio, pur che si sentano uniti in modo sponsale, con vera condivisione di fini e di mezzi, tra di loro. L’unione in Cristo è superiore all’unione coniugale! Occorre cioè che qualcuno possa contare su di me in nome di Cristo. Se nessuno può contare su di me, Gesù non può contare su di me! Quando Saulo si converte e si rende disponibile (cosa vuoi che faccia per te) si sente dire: va a Damasco e troverai un mio discepolo che te lo dirà.
L’entrata nel Regno, che è comunione primaria, non si ottiene semplicemente seguendo dei mezzi di formazione per migliorare la propria vita, ma unendosi a chi ha scelto Gesù. Quest’unione si dà in tutte le comunità cristiane vive, carismatiche. Per chi vuole seguire Gesù rimanendo nel proprio posto sociale e professionale è possibile ottenerlo unendosi a chi si ritrova nel cammino aperto dal Fondatore dell’Opus Dei. Molti saranno tentati di rimandare, e del resto occorre piena libertà per scegliere Cristo, ma è bene capire che nessuno può scegliere Gesù senza una realtà ecclesiale forte (minimo una buona direzione spirituale) e il rimandare indica chiaramente che il cuore insegue traguardi legati ad altro gruppo primario, perché nessuno può vivere senza legami sociali forti. Se un ragazzo ha il cuore nel gruppo di coetanei che si riunisce in discoteca anche se frequenta il circolo non potrà mai essere coerente col Vangelo (senza però escludere che andando al circolo non possa anche andare qualche volta in una discoteca decorosa). È un problema di vera libertà: occorre porsi con simpatia e chiarezza davanti alla scelta di un ideale, libera ma senza compromessi. Lo spirito dell’Opera può affascinare nella sua semplicità laicale, senza apparato associativo, senza impegni avulsi dal mondo di lavoro che rimane il luogo dove vivere la fede cristiana e la proiezione apostolica. Ma proprio perché non c’è un chiaro passaggio esteriore, come avviene in realtà carismatiche molto caratterizzate, è più importante ancora capire el principio de compromiso, la comunione interiore e fraterna che si viene a creare, per operare una scelta che scuota interiormente. È comprensibile un certo timore (ne timeas Maria, diceva l’Angelo a Maria) per il legame spirituale che si viene a creare, ma anche la gioia immensa, statu nascenti, di chi generosamente si decide ad essere di Cristo e a dargli una mano nel suo immenso compito di redenzione. Chi capisce si decide in piena libertà. Con lo spirito dell’Opus Dei la libertà è garantita dal fatto che nel nostro rapporto non si giudicano le persona se vanno o no al circolo; si può frequentare un centro dell’Opera per studiare, per una meditazione, per un consiglio sacerdotale, ecc., senza andare al circolo; e nessuno pensa male se un ragazzo non si sente di andare al circolo.
Deve essere inoltre chiaro che non si tratta di diventare della Prelatura. Si tratta di capire che si inizia il cammino con Cristo per un mondo nuovo, soprannaturale. Il Vangelo fa l’esempio della vigna e si capisce che non si può entrare nella vigna con un solo piede, per paura che mi si chieda troppo: si soffre e basta. Il Vangelo fa esempi di “casa”, di abitare con Gesù, ma anche di barca: duc in altum. Non si può partire per l’America mettendo una sola gamba sulla nave. La Chiesa è una grande flotta di navi che vanno nel Mondo Nuovo, oltreoceano. La nave ammiraglia è la Santa Sede, con al comando il Papa. Le altre sono tante, ma solo se primarie rispetto ai vari gruppi primari sociali in cui la gente normalmente vive. Tra quelle attrezzate per il grande viaggio, da scegliersi con libertà, c’è quella dell’Opera. Il capitano e il timoniere sono come i numerari, con una vocazione e una preparazione specifica, con la disponibilità del celibato, secondo una vocazione personale che li pone dentro la Prelatura dell’Opus Dei, che si fa carico pienamente di questa loro disponibilità. Gli ufficiali, che vengono dall’Accademia, da una preparazione specifica, propria di una vocazione personale ad essere membri della Prelatura pur nella piena possibilità di sposarsi e nella piena responsabilità professionale, familiare e laicale di tutti i cristiani e di tutti i cittadini, sono i soprannumerari. Chi va al circolo si imbarca come marinaio, ma non è di serie B e tanto meno di serie C: tutti sono di serie A, in virtù del battesimo, dal Papa all’ultimo bambino battezzato, la vera dignità del cristiano viene dall’essere figlio di Dio e non dai compiti funzionali che la Chiesa affida a chi ha una vocazione specifica2. Può essere che lungo il viaggio qualche marinaio si senta dire dal capitano che può fare l’ufficiale o un futuro comandante (c’è sempre bisogno di allestire nuove navi!), col discernimento vocazionale che Gesù affida a Pietro e alla sua Chiesa, ma sempre sulla base di una piena libertà dell’interessato che sarà aiutato a non fare passi avventati, o per scrupolo, o per provare, o per trovare rifugio nella Prelatura. Ogni vocazione richiede l’esercizio libero della volontà dell’interessato3. L’importante è capire che anche a rimanere per tutta la vita un marinaio sulla basca di Gesù, si è di serie A, chiamati all’amore inebriante e santificante di Gesù, e chiamati a dargli una mano con la propria vita; spesso un marinaio o un sergente possono essere più coraggiosi e più utili alla causa di un ufficiale.
È Gesù che chiama. La fede cristiana è sempre vocazionale, chiamati da Gesù per lavorare nella sua vigna, nel suo Regno. Però senza paura, senza tema che Gesù chieda troppo. Gesù ha bisogno di amici che vogliano esserlo sul serio, con una scelta libera e generosa. Ci sono tre aspetti da focalizzare e volere: essere amici di Gesù (curando vita interiore), essere amici tra noi e aperti apostolicamente; cercare questi due aspetti nello studio o nel lavoro professionale, curandone la qualità e l’apertura apostolica. Questi tre aspetti occorre “sposarli”. Del resto è il vero modo di essere cristiani, e di vivere l’avventura del Vangelo, ma occorre gente generosa che lo voglia liberamente. Tu cosa pensi di Gesù? Saresti pronto a dargli una mano? Hai paura che ti chieda troppo? Chi ha paura non conosce l’amore. Gesù è il salvatore, non un profittatore. I mediocri temono che se gli dai un dito ti prenda la mano; in realtà se gli dai un dito ti mette un bell’anello, e i mediocri non capiranno mai il segreto del Vangelo e lo spirito delle beatitudini. Se gli dai la mano ti mette un braccialetto. Il cristianesimo è per chi ha capito questo e gli si dà la testa, per essere incoronato da un diadema e da una splendida collana. Comunque Gesù vuole piena libertà. Non vale chiedere sconti a Gesù e al Vangelo4. Gli sconti li chiede chi riduce il Vangelo ad una religione naturale, dove Dio rimane lontano e basta comportarsi bene e andare a messa la domenica. Una lettura superficiale del Vangelo può spaventare: “chi non rinuncia a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo”; e subito si pensa a quante rinunce bisogna fare. Il messaggio è diverso: l’accento va posto sul voler essere suo discepolo, non sulle rinunce. Inoltre vuol dire che Gesù vale più di tutto, più dei genitori, più di una fidanzata, più dei soldi, più del lavoro e di ogni successo, ecc. È il vero tesoro! Inoltre vuol dire che l’amore inebriante di Gesù deve essere primario, come stiamo dicendo. Come quando ci si sposa “per la buona e la cattiva sorte”, non si pensa alla cattiva sorte, ma a sposarsi, senza paura per qualunque sorte, perché c’è un amore, un legame forte, che vale di più. Da qui viene lo spirito delle beatitudini: per essere beati non occorre essere poveri, prima. Ma chi è beato in Cristo non ha paura della povertà o dell’ingiustizia, se dovessero arrivare. Del resto in ogni gruppo primario ognuno è sempre disposto a tutto ciò che garantisce la sua immagine e potere dentro il gruppo, a costo di immensi sacrifici. Come ripete Benedetto XVI: “con Gesù non si perde nulla di bello, non temete”. San Josemaría ci diceva di trasformare la prosa in poesia: se un ragazzo regala un fiore ad una ragazza, quel fiore che è prosa in un negozio di fioraio, diventa poesia per la ragazza. Per molti andare a messa la domenica è penitenza: se intravvedi il volto di Gesù che ti aspetta diventa più attraente, più poetico di una discoteca. E si perde ogni paura! Oggi ci sono molti che si convertono a Cristo, e cambiano vita. Hanno visto qualcosa di nuovo che dà un senso e una poesia diversa a tutto. Tu sei già cristiano e non dovrai cambiare molto all’esterno, ma con Gesù occorre che giunga un momento in cui ti fermi ad ascoltarlo. E prima o poi vedrai qualcosa che ti dà la prospettiva cristiana della vita. Per andare al circolo occorre vedere una possibilità nuova, un passaggio dalla religione alla fede, dalla mediocrità alla scelta di amore, dalla prosa alla poesia.
A volte, di fronte ad un ideale così bello e attraente, il vero ostacolo non è l’egoismo e la difesa di beni di comodo, ma la paura di non esserne all’altezza. In genere c’è molto meno autostima di quello che si vuol fare apparire. Ma con Gesù tutto cambia; Lui sceglie i deboli per confondere i forti, gli ammalati per confondere i santi, come ben dice san Paolo. Il vero problema è porsi davanti a Gesù, capire che è Lui che ti cerca. Lui ti conosce e conosce i tuoi limiti, ma non si ferma certo per quello; neppure per i tuoi peccati, pur che tu voglia stare con Lui5. Lui conta sulla grazia, sull’aiuto ecclesiale (un gruppo primario trascina e rende capaci di grandi imprese, nel bene e nel male, ma con Cristo ci fa sentire apostoli). Questo è bene capirlo prima di decidersi, non sia che poi si prendano le nostre difficoltà a vivere secondo l’ideale come segno di non essere all’altezza. E per capirlo occorre sentirsi libero di valutare, facendosi dire cosa potrebbe succedere lungo la strada per chi si decide ad imbarcarsi. Si scoprirà tra l’altro che nessuno vuol convincerti a partire: devi volerlo tu. Se non si vede bene, si prega, si parla col sacerdote, si fa quel che si può, si può frequentare con libertà, ma non sarebbe bene andare comunque al circolo. Non vale “provare”, e neppure farlo perché gli altri lo fanno.Però appena si coglie il richiamo divino, la luce sufficiente per capire, è bene decidersi. Aspettare vorrebbe dire temere, darla vinta a ciò che in noi ci tira in basso. E non verrà più luce dopo: “lo Spirito soffia quando vuole”, dice il Vangelo. Basta vedere nel Vangelo come si segue Gesù: “subito, lasciate le reti, lo seguirono”. Del resto l’avventura inizia solo quando ci si imbarca. Con una gamba sulla barca e l’altra sulla riva non si è a metà del viaggio, si è sempre a terra, si calcola, si rimane mediocri. Il Vangelo se non lo prendi tutto non funziona; a metà non funziona. Il Vangelo è un’avventura ma solo per chi lo sposa. Non si tratta di farsi prete o numerario, ma di credere in Gesù che ti vuole santificare (Lui, perche “senza di me non potete fare nulla)6.
Se Gesù non ti parla al cuore non avrai la liberta di deciderti e imbarcarti. Considera però: Gesù è meraviglioso. Lo si dà per scontato da parte dei cattolici praticanti e del tutto ignorato dagli altri. Occorre guardarlo, estasiarsi: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”, pensaci bene. Dove trovi un uomo così? E pensa se tu fossi stato lì, tra i soldati, o a gridare il crucifige. E scoprire che hai ucciso l’Innocente eppure Lui ti difende, è dalla tua parte. E così i pubblicani, i peccatori, tu ed io: non sono venuto per i sani ma per gli ammalati…. E pensa a quella peccatrice che gli lava i piedi; non sa come verrà presa. Sente il fariseo parlare molto male di lei. E Lui? Che dirà di me? E Gesù parla di lei, per lodare ogni suo gesto; li ha colti tutti, e lei si esalta. Pensa al tumulto del cuore di quella donna, e come cambierà vita per sempre. E si può continuare una vita a contemplare Gesù e sentirne sempre più il richiamo!
Non si conosce bene Gesù, né la sua Chiesa. I ragazzi escono dal liceo pensando all’oscurantismo dei papi e dei preti: basta aver letto Il nome della rosa di Umberto Eco, per convincersi che la Chiesa difende una grande menzogna, che Gesù sia Dio, e perché nessuno se ne accorga impedisce di studiare: Galileo, l’Inquisizione, Giordano Bruno (una canzone di Cristicchi parla proprio della grande menzogna e dei preti melliflui e duri che la difendono in tutti i modi). Come il serpente con Eva, fa apparire il volto di Dio come di un despota, senza bontà, ed entra subito il calcolo se conviene sottomettersi (come l’Islam: i sottomessi) per una vaga protezione o ribellarsi ed auto affermarsi. Nella scuola pubblica italiana è facilissimo trovare un professore che con poche battute abbrutisce il volto della Chiesa; e il gioco è fatto. Intanto va studiata bene la storia… E poi imparare a vedere le meraviglie della Chiesa, nei suoi santi, nel Vangelo, in Maria, nella liturgia, nell’assistenza, intorno ai malati, ai poveri, ai moribondi. Se vedi le vetrate di Chartres da fuori sono brutte e informi, ma se la vedi da dentro sono un incanto, così è per la Chiesa. Anche pensando ai sacerdoti; facile dire che si comportano male, ma se fai riflettere un ragazzo sui sacerdoti che ha conosciuto quasi sempre dirà che sono tutti simpatici e dediti a volere il suo bene, in quanto hanno preso qualcosa di Gesù: troverai persone gratuite, dedite agli altri, amici, alleati.
Occorre però entrare nella Chiesa con tutto il cuore. Sono legami di amore, con Gesù e tra noi, e l’amore non chiede sconti. Hai visto che qui c’è un ambiente di gente normale, ma avrai notato che c’è qualcosa di diverso, di più che non tra la gente del mondo. Quel qualcosa in più viene da Gesù, scelto, amato, come vita della nostra vita, e dal volerci bene, in Cristo ma anche con amicizia, con collaborazione. Si ritrova il gusto delle cose belle: la famiglia, l’amicizia, lo studio, l’intelligenza, il divertimento migliore, la bellezza del mondo creato da Dio, la bellezza della fede, poter fare del bene non a nome proprio ma nel dono che unisce. Sapessi come i grandi rimangono entusiasti quando vedono tanta gente indaffarata come loro ma che credono e vivono questi valori. Il mondo porta a perdere fiducia negli altri, negli ideali nobili, quasi che i furbastri siano le persone che meglio si realizzano. Quando un adulto, spesso smaliziato e scettico, pur con un cuore ancora disposto ad amare, scopre professionisti che credono e cercano di vivere i valori umani e cristiani, si entusiasma, ritrova il meglio di se stessi. Qui troverai la gioia di una vita bellissima, come è nei disegni di Dio, che comprendono i nostri difetti e quelli degli altri, le luci e le ombre di una vita nella storia, che non può essere di sole luci, altrimenti non si cresce. Il nostro cammino, è bene ripeterlo, non fa gruppi e associazioni, non fa comunità, ma fa comunione forte, unione interiore e di amicizia che ci lascia normalissimi e indipendenti in tutte le cose civili, culturali e politiche.
Il Vangelo vivo è incontro con Dio in Gesù, morto per me e risorto, qui. Ora. E’ una scelta che va fatta, libera, ma senza calcoli, senza mezzi termini, senza paura. E se Gesù muore per te, avrai timore a stare un po’ con lui nell’orazione, a dargli una mano per farlo conoscere? Ad essere fedele al circolo, al piano di vita, alla direzione spirituale? E, se puoi, a studiare in sala di studio, a fare apostolato con i tuoi amici? In un mondo sempre più ignaro di Cristo non vale fare il cristiano che si barcamena tra la sacrestia e il mondo: non serve a nulla. Di fronte alle prove della vita un po’ di religione senza fede viva non serve proprio a nulla. Se vai in ospedale non vedi molti che trovino conforto nella fede, anche da parte di chi si dichiara praticante, mentre ci sono persone meravigliose nella sofferenza, perché hanno coltivato per anni la fede viva.
Se ti sembra una pazzia lontana da te, incomincia a fare orazione, a leggere un po’ di Vangelo, per imparare ad ascoltate Gesù. Pensaci serenamente, parlane col sacerdote. Ma non incominciare per provare. Quando ti illumini e ti convinci liberamente allora puoi iniziare il circolo. Se non ti vedo convinto sono il primo io a dirti di non iniziare. Non è neppure come venire ad una meditazione, ma è una scelta di campo, come diceva Giovanni Paolo II ai giovani di Lione: “è una scelta che va fatta”. Chi va al circolo sceglie il “tutto” e non solo il “mezzo di formazione”. Tra l’altro perché nel circolo si parlerà di tante cose da far proprie e non solo di nozioni catechistiche come può essere un corso dottrinale. La scelta pertanto non va presa solo sul circolo, ma su ciò che nel circolo si andrà sviluppando: piano di vita, mezzi di formazione adeguati, compresi il corso di ritiro e una convivenza estiva. Nessun cammino cristiano può prescindere per i giovani da un momento di formazione e di vita insieme durante l’estate. Se non si ha chiaro o non si è determinati a dedicare d’estate, o a Pasqua, una settimana ad una convivenza è meglio non incominciare il circolo; tra l’altro perché è un grande dono che Dio vuol farci, molto probabilmente i giorni più belli dell’estate, e chi rifiuta un dono d’amore non ha ancora capito l’amore.
Bisogna capire che il Vangelo diventa buona novella solo se si ascolta la chiamata di Cristo a seguirlo (SEQUELA), in comunione primaria carismatica con i fratelli, e con proiezione missionaria. E quessto si può fare solo in un cammino di santità. Per secoli tali cammini erano riservati ai voti religiosi, fuori dal mondo, ora si è capito molto meglio che valgono per tutti i battezzati, nelle forme più diverse, tra cui anche quella di una vita nella quotidianità, trovando Gesù nel lavoro (come san Giuseppe), in famiglia, nella società, visuta con mentalità laicale.
Come si concretizza la scelta del circolo
Fa parte di una vita di amore avere un vincolo su cui gli altri possono contare. Con Cristo si può dare a vari livelli ciascuno secondo le luci dello Spirito Santo e con l’ausilio della Chiesa che aiuta a discernere. C’è chi, mosso dalla grazia, si ritrova con la libertà di darsi a Gesù con tutto il corpo nel celibato, partendo dal bisogno immenso che il mondo ha di queste vocazioni. Naturalmente, oltre al celibato, fanno proprio un “pacchetto” consistente di prestazioni spirituali e di disponibilità apostolica che li sostiene nel cammino e li rende disponibili agli altri. Altri, come i soprannumerari dell’Opus Dei, vivono il matrimonio come sacramento, in modo vocazionale, con i figli che Dio vuole…. (senza misurare le persone e le famiglie dall’esterno ma sapendo che ogni figlio è un dono, una ricchezza in più). Anche loro, nel loro patto di amore avranno una disponibilità oggettiva, prestazioni spirituali e apostoliche su cui Gesù e gli altri possono contare, pur essendo un “pacchetto” più semplice ed elastico di quello dai numerari.
Altri, molti di più, saranno i cristiani chiamati a vivere bene il loro battesimo, sapendo che il Vangelo si può vivere solo in modo vocazionale. Essendo vocazionale occorre un patto, un contenuto semplice e concreto attraverso cui Gesù può contare attraverso la sua Chiesa: un piano di vita spirituale (visto con libertà nella direzione spirituale), qualche mezzo di formazione (il circolo, il ritiro mensile, possibilmente la meditazione al sabato, il corso di ritiro nell’anno); una amicizia che tenga presente i momenti che ci uniscono, come la tertulia dopo la meditazione, una gita, una convivenza estiva; la direzione spirituale, l’apostolato di amicizia e confidenza, un incarico materiale o apostolico. Il piano di vita spirituale (pdv) comprende oltre al minimo dell’Eucarestia domenicale, un momento concreto di orazione, la lettura del Nuovo Testamento e possibilmente di qualche libro spirituale, la visita al Santissimo, l’esame di coscienza. Ognuno ha il suo pdv, visto nella direzione spirituale. C’è chi recita il rosario e chi no. C’è chi va a messa solo la domenica e chi in giorni infrasettimanali7. Tutte cose che non obbligano neppure sotto peccato veniale e neppure nell’obbedienza che dobbiamo al Papa, ai vescovi, ai dieci comandamenti. Però l’amore, che è libero, è anche fedele. Il grande cambio interiore lo si ha quando sei tu che vuoi essere aiutato a vivere con fedeltà questi appuntamenti con Gesù. E quando ti senti ben contento che Gesù possa contare su di te, con una mission chiara e adeguata alla tua vita: fare in modo che tanti possano scoprire la bellezza di incontrare Gesù nel lavoro di tutti i giorni.
La direzione spirituale ha una particolare importanza per chi non si muove in gruppo. Un movimento ecclesiale più compatto indica la volontà di Dio nella vita spirituale e apostolica in ciò che si fa insieme. Per chi invece si muove nel mondo con la propria identità laicale è molto importante avere con chi concretare la propria vita interiore, la preghiera, e il bene che si vuole fare per Gesù. Nell’Opus Dei la direzione spirituale (si sa che non è un nome adatto, in quando non si tratta di farsi guidare dall’alto, ma è un camminare insieme nella carità, unica forza che santifica e supera i nostri egoismi e gli ostacoli che si incontrano sempre nella vita; non è un render conto per avere un buon voto, ma un crescere insieme) si riferisce solo a questi due ambiti citati, senza entrare in tutte le scelte familiari, professionali, politiche, culturali, ludiche, dove vale la responsabilità e la libertà laicale. Allo stesso tempo è importante che qualcuno mi conosca e mi orienti nelle ricchezze della vita cristiana. Scoprire la semplicità e l’efficacia di una simile direzione spirituale rende molto più liberi e sicuri sul proprio futuro: avrò sempre modo di cercare sinceramente la volontà di Dio per quanto riguarda la mia vita di fede e l’apostolato! Senza dovermi complicare o perdermi tra le tante possibilità. E anche mi piace che in tutte le cose del mondo sarò io a decidere con la mia autonomia laica, senza dover rendere conto alla chiesa delle mie scelte. Il buon pastore conosce le sue pecorelle e queste conoscono lui. La sincerità trasparente con una sacerdote che mi conosce è quanto mai efficace. Abbiamo visto che Gesù manda Saulo da Anania, per sapere cosa fare per Gesù.
La scelta di Cristo è libera quando i contenuti della nostra disponibilità sono fatti propri, diventano legge scritta nel cuore, secondo la grande profezia sulla nuova alleanza. Troppi cristiani vivono un rapporto esterno con Dio e pertanto le prestazioni religiosi risultano fatti morali da doversi accettare, ma col minimo di sforzo. Gesù vuole gente libera ma generosa, capace di dargli una mano, di costruire il bene. Lui ci vuole concreatori nel lavoro, nella famiglia, nella società e nella Chiesa. È col “pacchetto” di disponibilità reali che collaboriamo con Dio, non è imposizione ma collaborazione con Dio, un aiuto che diamo a Gesù in cambio dei suoi doni immensi. E quando costa ci facciamo aiutare per imparare ad essere leali e fedeli in modo consistente e non solo emotivo e soggettivo, su cui nessuno alla lunga può contare. E pertanto se un giorno non puoi venire al circolo perché hai un esame a breve il consiglio è di non telefonare per dire che non puoi venire, ma, magari per tempo, telefonare dicendo: ho questa difficoltà, cosa mi consigli? Non è certo un chiedere permesso, ma prendere coscienza che Gesù può contare su di te, secondo quella disponibilità che hai scelto liberamente. È il punto di appoggio per le tue lotte, è il punto di fedeltà, lealtà, perseveranza che costruisce attraverso gli alti e i bassi della vita interiore. Se ti dicono di star a casa tranquillo a studiare ti santifichi come venendo. Nessuno è lì per contare quanti sono al circolo, e pertanto puoi fidarti che ci vogliamo bene e cerchiamo insieme quale può essere la volontà di Dio. Esattamente come succede in famiglia: se cambia qualche programma lo si studia insieme, non lo si impone, facendo diversamente senza dire nulla. Qualche volta ti aiuteranno a capire che si può rischiare qualcosa per Gesù, altrimenti non si cresce.
Noi dobbiamo santificarci nel nostro lavoro, nei doveri di stato, pertanto un direttore nel consigliarti una decisione che riguarda quelle poche cose su cui contiamo tutti, tiene presenti le tue circostanze. Quando si capisce questo si perde il timore di dover sottostare agli uomini, e l’amore diventa consistente; ha la sua opportuna obbedienza e cambia tutto il modo di vedere il rapporto con Dio. Si capisce che sono cose di Dio e di tutti coloro che contano su di te, come tu conti su di loro. Ma anche per una gita, o per il ritiro mensile. Il tutto con molta semplicità e in piena libertà; ma con questo possiamo dare a Gesù un po’ dell’importanza che si dà ad una fidanzata (con una fidanzata le poche cose che si fanno insieme si decidono insieme).
Tutto questo è alla base della crescita e della consistenza del legame di amore. Non è il direttore o il sacerdote a volere per te quelle cose. È la forza dell’amore che nei momenti difficili, con l’aiuto della Chiesa, della direzione spirituale, non desiste e cresce. Non si ha voglia, ma lo voglio. Se ho difficoltà cerco la volontà divina in quelle cose su cui Gesù e i fratelli ci contano. E così ciascuno lotta per gli altri e gli altri ti sostengono nella tua lotta. Se gli ebrei sono uniti dal sabato, quelli che si avvicinano all’Opus Dei lottano per mantener fede al pdv. Non è una gabbia, un obbligo, ma un appuntamento di fidanzati, che si può adeguare alle circostanze mutevoli della vita nel mondo, ma insieme, come si cambia insieme un appuntamento. Nella nostra incostanza l’avere un pacchetto di disponibilità da portare avanti con fedeltà (senza scrupoli, perché nulla diventa peccato fuori dai peccati indicati dalla Chiesa) è l’unico modo di crescere e santificarsi. A volte ci sembrerà che sia troppo perdersi una partita alla televisione per essere fedele al circolo, ma se si guarda cosa Gesù ha fatto per noi, cosa i martiri e i santi hanno vissuto nell’amore, ma anche cosa si è pronti a fare per qualsiasi gruppo primario, fino a sfracellarsi da kamikaze, le piccole fatiche per le prestazioni del nostro impegno di fedeltà ci sembreranno carezze. E pensare che spesso il fatto che io veda una partita con gli amici rientra benissimo nella volontà di Dio! Questo è un punto decisivo della vita cristiana; e si può capire bene perché un ragazzo che un giorno ha problemi per andare al circolo non chiama per dire non vengo, ma chiede al direttore del circolo un parere su quella che potrebbe essere la volontà di Dio. Certamente se ha la febbre a 40 basta avvertire, ma se ha un esame dopo una settimana o è la mamma che vuole andare a prendergli i pantaloni, allora il direttore del circolo può farlo riflettere su come aver presente gli altri e Gesù stesso.
Apostolato di amicizia e confidenza
Diceva il Card. Koenig a dieci anni dalla morte di san Josemaría: “Il lavoro ordinario può essere il luogo ove il semplice fedele trova il proprio prossimo; ove in tutta semplicità e mediante l’amicizia e il tratto personali, cerca di comunicargli qualcosa della luce della dottrina di Cristo; ove lo aiuta a trovare i cammino che approda a Dio. Ove ormai non si ascolta la predicazione del sacerdote, lì si può ascoltare la voce di un amico che dà una mano al proprio amico e lo aiuta accuratamente ad avvicinarsi al calore della fede”. Il cammino che approda a Dio, cammino ecclesiale, per chi segue le orme di san Josemaría è proprio il circolo, con quello che comporta di comunione, di scelta radicale di Cristo, di compito apostolico. Ma il porre un amico di fronte alla possibilità di scegliere il Vangelo continuando la sua vita di sempre dipende dall’apostolato di amicizia e confidenza di coloro che già hanno operato la loro scelta cristiana. È fondamentale capire che la vita di fede fa diventare subito protagonisti di un’avventura cristiana e cioè rende santamente protagonisti in senso apostolico. Può avvenire in molti modi, ma con lo spirito di san Josemaría, spirito laicale, avviene con forte comunione ma senza esplicite organizzazioni apostoliche. Da una parte un sano protagonismo deve esplicarsi per fare qualcosa di bene da soli o con altri, nelle miriadi di attività ausiliarie che nostro Padre prevedeva, senza etichetta cattolica. Ma ci vuole subito anche l’impegno e il sano protagonismo direttamente apostolico. Per noi questo è l’apostolato di amicizia e confidenza, che nella sua semplicità rischia di non essere ben impostato.
Occorre focalizzare sufficientemente il rapporto tra amicizia e confidenza e la rapidità, semplice ed efficace, con cui si fa la prima confidenza. Per questo occorre essere pignoli nel distinguere una confidenza (testimonianza) da qualunque altra cosa. Proposte, inviti, lezioni, discussioni, consigli, ecc. non sono confidenze. Confidarsi, nell’apostolato, è sinonimo di testimoniare. La testimonianza fa vedere una cosa bella sperimentata personalmente, e questo attira la considerazione di chi ascolta. Il consiglio invece spinge a fare qualcosa e rischia di innestare un freno dall’altra parte. Per questo Paolo VI nella Evangelii nuntiandi dice che il mondo d’oggi non vuole maestri ma testimoni. La testimonianza, naturalmente, deve essere sostenuta dall’esempio, dal modo di vivere, o da una lotta sincera per vivere ciò che si confida, altrimenti diventa ipocrisia, ma da solo l’esempio dei laici non basta, lo prendono per carattere buono. La testimonianza, inoltre, favorisce la libertà degli altri, necessaria per una loro scelta di amore.
La confidenza non ha per scopo di convincere, ma solo di mostrare. Questo rende molto più liberi e affascinanti. Se si vuole convincere qualcuno è più facile temere una risposta negativa e questo inibisce chi parla o lo rende meno attraente. Una confidenza nasce da una associazione di idee che permette di dire: a proposito di … (mettiamo un problema che rende la vita difficile)…, non so tu, ma a me serve meditare sul Vangelo; mi illumina e mi aiuta a prendere le cose in un altro modo. Se si vuole che anche l’altro si apra, basta terminare dicendo più o meno: scusa, può darsi che tu pensi diversamente.
La confidenza fondamentale è quella che pone in contato con Gesù vivo, presente. “A proposito di questo, posso dirti che da quando un amico mi ha insegnato a rivolgermi direttamente a Gesù, la mia vita va cambiando”. Se non mettiamo le persone in contatto con Gesù, tanti discorsi si sperdono. Nostro Padre diceva che se non facciamo dei ragazzi anime di orazione perdiamo il tempo. L’orazione è per chi crede che Gesù risorto è vivo accanto a me e in me, mi parla se lo ascolto, e mi ascolta quando mi rivolgo a lui con semplicità e fiducia. Questo dobbiamo testimoniare. Se si interessano a quanto diciamo allora si apre un dialogo diverso. La prima confidenza non è, normalmente, sull’Opera; sarebbe controproducente. È su Cristo. Ma un Cristo vivo, presente. Poi è facile fare orazione insieme.
Importante non aspettare troppo a fare la prima confidenza apostolica. Bastano anche pochi minuti di conversazione amichevole8. Se si aspetta ad essere più amici, si instaura un rapporto che poi rende difficile svelare una nostra posizione di fede dichiarata. Mentre se si è nella prima conoscenza, lui viene a sapere con chi ha da fare, ma soprattutto noi sappiamo come la pensa e come procedere. Probabilmente oggi si trova solo uno o due su dieci che rimane interessato dal nostro modo di pensare e vivere. Con quello si farà più amicizia. Con gli altri si vedrà strada facendo. Gesù dedica tempo a chi ha un’apertura del cuore. Vede Zaccheo fare un gesto che svela un suo nuovo interesse e si autoinvita a casa sua: casa vuol dire familiarità, amicizia. Così con Nicodemo, con la samaritana. Con chi lo cerca solo per i miracoli, passa e va. Altrimenti si rischia di farsi una ventina di amici lungo la vita e di questi due o tre soltanto sono come Zaccheo; qualcun altro verrà a qualche ritiro magari più per farci un piacere che per vero interesse. Mentre se si fanno due o tremila confidenze nuove nella vita, come ho annotato, si finisce con un grande frutto apostolico.
L’esperienza dice che bisogna essere molto pignoli nell’insegnare l’inizio, altrimenti tutto si fa eccetto una confidenza bella e attraente, libera e coinvolgente. I primi tentativi sono impacciati, anzi: si rimane senza sapere cosa dire. Ci si fa aiutare con pazienza, ben convinti che il primo beneficio è per chi impara a non aver timore a confidarsi. Dopo le prime confidenze un po’ stentate, ci si libera e si diventa affascinanti. E il fascino è l’arma più determinante. Si può pensare che se i genitori o i tutor dei Club insegnassero quello che c’è scritto nel libretto Liberi dal sarcasmo, si darebbero poi dei ragazzi molto più liberi di confidare quello che vivono, per tutta la vita, senza paura di andare controcorrente. Immaginate cosa può succedere se tutte le persone dell’Opera, tutti i cooperatori, tutti i ragazzi che frequentano il circolo imparassero a fare bene una confidenza apostolica in pochi minuti. Ognuna è come accendere un cerino, dicevo. Nel buio un cerino si vede bene e ci si accorge di tutti coloro che dentro hanno desideri nascosti che non osano esternare. Con questi è molto più facile arrivare al discorso del circolo9.
Condivisione spirituale e materiale
La scelta cristiana, specialmente per laici in mezzo al mondo, non ha bisogno di apparati e stendardi, però penetra tutti gli aspetti della vita, ad iniziare dall’ambiente del centro, fatto di casa materiale, mobili, feste, ricorrenze, incarichi, responsabilità di tutti i ragazzi che vanno al circolo per quei momenti che servono a fare ambiente apostolico, come la meditazione, le gite, le visite ai poveri, le iniziative culturali, lo sport, ecc, sentendo ognuno la casa come propria e collaborando per migliorarla. La santificazione in mezzo al modo implica un’umanità schietta e ricca. San Josemaría diceva che se non si è molto umani non si può essere divini. Con la sua vita ha dimostrato come la santità non solo è compatibile con vera umanità, ma la rende molto più gradevole e ricca. Poteva dire di aver fatto l’Opus Dei con grazia divina, 26 anni e buon umore: quello che ci ha messo lui era il buon umore, che è cordialità, cuore accogliente, amicizia vera. Anche Giovanni Paolo II, pur essendo Papa, al massimo della gerarchia, ha mantenuto sempre un’umanità squisita, fatta di cordialità, amicizia vera e fedele, interesse reale per tutti i problemi degli uomini, apprezzamento di arte e festa, di tradizioni e storia. Nel primo viaggio in Polonia i giovani gli cantavano: noi apprezziamo questo Papa non solo perché è il successore di Pietro, ma anche perché sa ascoltare Chopin sulle rive della Vistola.
Chi frequenta il circolo deve sapere che a Gesù non interessa solo la preghiera e le virtù: Lui si è incarnato veramente, ha preso molto sul serio la nostra umanità. L’amore che unisce il cielo e la terra sa sacrificare tante cose umane, anche la vita, ma senza disprezzare nulla di ciò che è uscito dal disegno creatore di Dio. Pertanto è bene curare l’amicizia insieme alla carità fraterna, una gita insieme ad un ritiro, una tertulia insieme ad una meditazione, una convivenza insieme al corso di ritiro. Se uno capisce i ritiri, ma per la sua vita interiore, senza far propria la vita degli altri, riterrà di non aver tempo per fare una gita. Invece se si guarda il Vangelo, Gesù a volte portava i sui discepoli in luoghi appartati, per pregare meglio, ma anche per riposare insieme. Una gita è oltremodo importante per creare amicizia, ambiente familiare, bellezza di appartenenza semplice e normale. Ugualmente le tertulie: con san Josemaría si curavano molto; nessuno si assentava per impegni urgenti quando si stava insieme a chiacchierare; e nessuno discuteva col rischio di rovinare la bellezza dello stare insieme amabilmente. Un giorno, in Argentina, dove le tertulie erano necessariamente oceaniche, ma sempre molto familiari e spontanee, una ragazza domandò: “Padre, in questi giorni ci ha insegnato a correre. Abbiamo corso molto, molto più di quello che potevamo pensare. Ma adesso che se ne va che vuole che facciano i suoi figli argentini, che cosa vuol lasciare nel cuore dei suoi figli sudamericani?”.”Che seminiate la pace e la gioia in ogni luogo, che non diciate nessuna parola molesta a nessuno; che sappiate andare a braccetto di coloro che non la pensano come voi. Che non vi maltrattiate mai, che siate fratelli di ogni creatura, seminatori di pace e gioia. E che comunichiate a tutti questa inquietudine di ringraziamento che tu hai dato a me con le tue parole. Perché mi hai commosso, e mi fai dire un’altra volta al Signore: gratias tibi Deus, gratias tibi”. Del resto, in quegli incontri visibili in tanti filmati, si respira lo spirito delle beatitudini.
Occorre aver occhio e cura per tutti i dettagli dell’ambiente del centro che si frequenta. In genere ognuno ha un incarico in modo che tra tutti si mantenga ogni cosa a suo posto, efficiente, bella. Il disordine non è carità, e questo deve stare a cuore a tutti. In modo particolare occorre rendersi del dono di avere Gesù nell’Eucarestia nel centro che si frequenta. Visitarlo all’entrare o all’uscire di casa vale più di tante prediche sull’Eucarestia. La cura dell’oratorio deve stare a cuore a tutti.
Nei centri dell’Opera in cui si svolge apostolato con studenti ci sono sempre tre ambienti materiali che si rifanno ai tre contenuti fondamentali di chi frequenta il circolo: l’oratorio, per coltivare l’amore di Gesù; il soggiorno per vivere momenti sereni di vita di famiglia e pensare agli altri; la sala di studio indica lo specifico dello spirito dell’Opera: santificarsi nel lavoro, che per uno studente è lo studio. Un ragazzo che va al circolo sa spiegarlo ad un amico che viene per la prima volta, e sa favorire il clima opportuno a ciascun ambiente. Chi va in parrocchia normalmente non ci va per studiare; non vuol essere un paragone, ma un elemento di specificità. I ragazzi che vanno al circolo devono sentirsi responsabili della sala di studio. Venire a studiare è già un fatto apostolico, perché se viene un ragazzo per la prima volta e vede vari che studiano capisce tutto, se la sala è vuota non serve. Per esempio la sala di studio non è un soggiorno in cui chiacchierare. Nel soggiorno c’è un arazzo o un quadro con la scritta: frater qui adiuvatur a fratre quasi civitas firma, che richiama il mandatum nuvum, il cui testo è riportato nella sala di studio, secondo una tradizione iniziata da san Josemaría, per capire che un centro dell’Opus Dei non è un club sociale o un gruppo cristiano caratterizzato, dove o si appartiene o non si appartiene, ma neppure è una stazione di passaggio, bensì gente libera e normale che va scoprendo la bellezza dell’amore fraterno inaugurato da Gesù sulla terra. L’oratorio deve far riflettere sull’immensità del dono di avere un tabernacolo in casa, con la possibilità di fare orazione dialogando con Gesù presente sacramentalmente nell’Eucarestia.
Devono sentirsi responsabili anche dell’ambiente che si crea intorno alla meditazione. Intanto è il momento in cui l’apostolato personale di chi va al circolo trova l’occasione di mettere in contatto gli amici con la Chiesa di Cristo, in un modo semplicissimo e senza impegni di alcun genere ma capace di aprire la mente e il cuore con la meditazione e di respirare un ambiente cristiano pieno di normalità umana. A volte non si riesce a venire con un amico, ma intanto la meditazione serve ai ragazzi che frequentano il circolo per approfondire la loro vita di orazione e poi per creare ambiente con le persone nuove che possono venire, creando tra tutti un ambiente appropriato. Per dare un circolo ci vuole un numerario, che ha gli studi e la preparazione necessaria a trasmettere fedelmente lo spirito dell’Opera. Per dare una meditazione ci vuole un sacerdote. Ma la responsabilità dell’ambiente della meditazione, con la colletta e con la tertulia che segue è di tutti coloro che vanno al circolo. E deve stare a cuore a tutti che ci siano molti ragazzi che vengono alla meditazione, perché ce n’è un gran bisogno per loro. Mentre per il circolo il numero dei frequentanti è sempre piccolo, per la meditazione il numero ha la sua grazia: se viene un ragazzo nuovo e vede tre persone non torna più. Se ne vede trenta gli viene voglia di tornare.
Lo spirito dell’Opera ci fa apprezzare l’umano, il decoro della casa, i talenti da curare, i mezzi anche meccanici per muoversi in società. Ma il tutto vissuto con vero spirito di povertà. Qualcuno può pensare che l’Opus Dei è per i ricchi, magari perché abituato a vedere ambienti cristiani piuttosto trascurati; il Vangelo è annunziato ai poveri e non si può vivere senza vera povertà, che non vuol dire, però, disprezzare le creature. Ci sono vari modi di vivere il Vangelo. Molti religiosi che fanno il voto di povertà sono più simili a Giovanni Battista, chi vive nel mondo ha un riferimento stupendo in san Giuseppe il cui stile di vita è molto diverso da quello del Battista. Questi aveva fatto voto di Nazirenato, senza vino, senza tagliarsi i capelli, ecc. Come fa osservare lo stesso Gesù, mangiava erbe amare e vestiva pelli di capra o di cammello, mentre il figlio dell’uomo vestiva bene, beveva vino, mangiava come tutti fino a sentirsi dire che era un beone e un mangione. Giuseppe vide nascere Gesù nella massima povertà, ma lui ce la mise tutta per farlo nascere in una casa confortevole; seppe andare nel deserto con famiglia a carico (ben più gravoso che il deserto del Battista), ma vestiva gli abiti confezionati con cura da Maria (senza cuciture e con la frangia, come i ricchi), aveva un asinello, e cioè l’automobile dei suoi tempi, e mangiava i pranzetti accurati preparati da Maria. Sapeva rinunciare a tutto e sapeva usare di tutto per amare, per la famiglia, per lavorare a favore degli altri con i suoi strumenti di lavoro. La povertà la si misura con l’amore. Se le creature si usano per amare vanno benissimo. Se diventano cupidigia o vanto sociale, o comodità egoistica, diventano una trappola spirituale: guai ai ricchi… Abbilo come slogan: le creature per amare. Un fidanzato regala un anello di buon metallo alla fidanzata e comunque l’anello dei coniugi, la”fede” sponsale, è d’oro. L’importante è mantenere un certo distacco nell’uso delle realtà create, per non farne potere e sicurezza personale. È il primo aspetto della povertà. Il secondo riguarda la necessità di saper donare i beni terreni quando non servono per amare, in famiglia, nella società e nella chiesa. Saper rinunciare al superfluo, facendone dono per i poveri o per le necessità della Chiesa: se rinunci ad una spesa superflua e ti tieni i soldi fai quello che fanno gli avari. Non basta ancora: occorre procurarsi i bene necessari per la “casa”, familiare o ecclesiale. San Giuseppe viveva la povertà non pensando alla propria perfezione, ma pensando a dare da mangiare a Gesù e a Maria, a dargli una casa. Se si osserva bene i centri dell’Opera e anche le persone dell’Opera, di superfluo non hanno nulla; non è superfluo curare il lindore della casa per farne una casa dove ci si vuol bene. Basti pensare a Maria e a come poteva curare la casa di Nazaret. Per iniziare i giovani alla povertà cristiana in mezzo al mondo nei centri dell’Opera si fanno tre collette: quella del sabato, per i fiori sull’altare in onore della Madonna e per le visite ai poveri, ai quali si porta sempre qualcosa; quella del circolo, dove ognuno liberamente e senza dover rendere conto a nessuno mette il frutto della sua povertà, rinunciando a tenere per sé ciò che ha risparmiato nella settimana, rinunciando al superfluo (chiedendo criterio nella direzione spirituale, per non crearsi scrupoli o rigidezze). E infine la colletta del 19 di ogni mese, in onore di san Giuseppe e proprio per imitare san Giuseppe che provvede ai bisogni materiali della casa. Per questa colletta si può pensare ad un guadagno apposito, a ricorrere alla zia che può capire il bene che si vuol fare, o a tante altre “invenzioni” che portino a raggranellare una cifra più consistente (sempre anonima e senza quote fisse) per sostenere gli apostolati di tutti. Con queste tre collette si è aiutati a vivere i tre aspetti della povertà di cui si diceva sopra.
Comunque la cosa più importante di una casa sono le persone. Ognuno deve apportare attenzione, iniziativa, una amicizia semplice ma sempre più profonda, un sostegno a studiare, a preoccuparsi degli altri, curando tanti piccoli dettagli di attenzione e di servizio. Pronti a cambiare un proprio programma per unirsi ad una iniziativa (come una gita, per esempio) con altri.
Nella vita cristiana e nella vita di famiglia un posto particolare ce l’hanno le feste, che celebrano doni divini o ricorrenze di persone. La festa è un bene relazionale, nel cuore di ogni comunità. Nella festa, in modo visibile, si possono dare le ricchezze dell’amore, perché la festa è celebrazione che unisce tutti i beneficiati. La festa diventa la visibilità gioiosa di una solidarietà. In modo particolare appare la condivisione e la spiritualità di comunione, ma anche l’amicizia, la solidarietà. Tutto dovuto al celebrare i doni dell’amore divino, che scendono e ci uniscono intimamente e socialmente. Questo vuol dire, come già sopra accennato, che una cena insieme, una tertulia, una gita, una convivenza, possono essere tanto importanti come una meditazione, un ritiro o un corso di ritiro. Nei centri dell’Opera le feste sono tante: a quelle di tutti i cristiani si aggiungono tante feste della storia dell’Opera, e poi le feste delle persone. Non si tratta di sconvolgere una vita di intenso lavoro, ma ci può stare, nelle grandi feste, un orario più comodo al mattino, per rendere il corpo partecipe della festa, fiori sull’altare, sei candele, un abbigliamento più curato, un dolce a colazione o a tertulia se si festeggia qualcuno. Benedizione eucaristica nelle feste più significative, favorendo la fruizione del dono divino che ogni festa elargisce per la vita dei cristiani. Tertulie più spaziose dove ognuno mette a disposizione di tutti qualche suo talento musicale o qualche racconto.
Questa cura materiale, sociale, spirituale, porta a vivere concretamente l’appartenenza comune, con un legame di amore in Cristo, nel suo Regno, con uno stile laicale e di grande normalità. Nei momenti in cui la grazia fa gustare questa realtà si tocca il cielo col dito.
Fa parte fondante e integrale del legame primario che ci unisce in Cristo il riconoscimento della paternità di san Josemaría, che abbiamo sempre chiamato Padre, quando era in vita, e nostro Padre ora che ci ascolta dal cielo; non si può essere fratelli se non si ha un padre. Naturalmente il Padre è solo Dio, ma la sua immensa paternità richiede mediazioni visibili sulla terra per avere un riferimento riconoscibile anche umanamente che ci aiuti a mantenere i cuori uniti in Cristo. Abbiamo visto che il maggior impegno di Gesù non furono i miracoli ma il formare una comunità intorno a Lui. Non tanto per istruirli ma per un’esperienza di comunione che poi dovranno moltiplicare sulla terra. Ognuno di quegli apostoli sarà pastore di nuove comunità. In modo particolare i santi fondatori sono canali della paternità divina per far sorgere nuove comunità, e permettere di vivere un vincolo primario in Cristo da parte di tante persone le più diverse.
Oggi la paternità è in crisi; la presunta libertà è proprio contro ogni debito di amore verso chi ha generato, contro ogni dettame che non venga dalla mia volontà. Ma di fatto si cade in tante schiavitù, come i milioni di giovani che sono liberissimi di drogarsi, di fare sesso fuori dal matrimonio, ecc. (si tratta di imposizioni del gruppo di coetanei, per non essere esclusi e trovarsi senza legame primario). Il Vangelo dice di non chiamare nessuno “padre” o “maestro”, ma intende che ogni amore viene dal Padre celeste. Di fatto ogni figlio ha un padre, il quale però sa di essere solo mediatore della vita, e che dovrà sapersi ritirare in disparte per favorire la crescita umana e la filiazione divina del figlio. Ugualmente nella vita spirituale occorrono mediazioni paterne; se non ci sono non si riesce ad aprire il cuore perché entri il Vangelo. San Josemaría è uno di quei santi che Dio manda alla sua Chiesa nei momenti di grandi cambi. A Lui Dio ispirò un cammino di santità nel mondo, nella massima normalità, in un momento in cui la religione tradizionale con la sua struttura sacrale e gerarchica non bastava più per un mondo che si secolarizzava.
Fa parte integrante di questa paternità l’unità con il successore di san Josemaría, il Prelato dell’Opus Dei, che familiarmente chiamiamo Padre ed è ben presente nei nostri cuori, nelle nostre preghiere e nel nostro affetto filiale. È Lui che garantisce l’unità dei cuori di migliaia di persone in tutto il mondo.
L’ideale cristiano non è disincarnato: il Verbo si è fatto uomo! Gesù non sembra un monaco: pur isolandosi spesso a pregare: lo si vede sempre in mezzo alla gente, attento a tutti i bisogni umani, con gran cuore, pronto a commuoversi (piangere, a volte anche con singhiozzi, scomposto) e pronto ad aiutare tutti. Con lo spirito dell’Opus Dei ogni battezzato si muove nel mondo con piena normalità; con la libertà di ogni cittadino e con la responsabilità di contribuire ad un mondo più umano. Sono meravigliose le pagine di san Josemaría su quest’aspetto decisivo della santificazione nel lavoro quotidiano; rimando alla sua omelia Amare il mondo appassionatamente, che è da leggere tutta attentamente. Ne riporto una breve paragrafo: “Un uomo consapevole che il mondo –e non solo il tempio- è il luogo del suo incontro con Cristo, ama questo mondo, si sforza di raggiungere una buona preparazione intellettuale e professionale, e va formandosi –in piena libertà- il proprio criterio sui problemi dell’ambiente in cui opera; e di conseguenza prende le sue decisioni che, essendo decisioni di un cristiano, sono anche frutto di una riflessione personale, umilmente intesa a cogliere la Volontà di Dio in questi particolari piccoli e grandi della vita. Ma a questo cristiano non vien mai in mente di credere o di dire che lui scende dal tempio al mondo per rappresentare la Chiesa, e che le sue scelte sono le “soluzioni cattoliche” di quei problemi. Questo non va figli miei! Un atteggiamento del genere sarebbe clericalismo (…) In ogni caso vuol dire violentare la natura delle cose. Dovete diffondere dappertutto una vera “mentalità laicale”” (116-117).
In questo senso l’Opus Dei non promuove direttamente opere sociali, culturali, politiche, assistenziali. Ma propone un cristianesimo incarnato. Ognuno, come cittadino normale, viene a contatto con tanti problemi, alcuni dei quali lo vedono più capace di un apporto personale o organizzato a partire dalla società (sindacati, partiti, associazioni professionali, iniziative di volontariato, società sportive, ecc). Già da studente si imbatte con problemi della scuola, con problemi culturali, sociali, ludici in cui si gioca il destino dei propri simili. La scelta di Cristo è anche scelta dell’uomo e questo rende sensibili e attenti. È fondamentale capire bene che nessun giovane (o grande) cresce in libertà se riceve senza dare;. E questo vuol dire che ciascuno, da solo o con altri, deve poter pensare e promuovere, cose buone. Uno studente può fare moltissime cose, da solo o con altri, cristiani o meno, pur di unirsi a fare del bene. San Josemaría diceva: «Il Signore vuole che tanto da soli, con l’apostolato personale di ciascuno di voi, quanto insieme ad altre persone –forse lontane da Dio, o anche non cattoliche o non cristiane- elaboriate e traduciate in realtà, nel mondo, iniziative serene e attraenti, molteplici e diverse come il volto della terra e come i sentimenti e di desideri di coloro che vi abitano. Tali iniziative contribuiscono al bene spirituale e anche materiale della società (…) Per questo vi ho ripetuto tante volte che la vocazione professionale di ciascuno di noi è parte importante della vocazione divina» (Lettera, 11 marzo 1940). Questo vuol dire che ognuno deve concepirsi come una persona positiva, che non pensa solo a sé. Unendo forze ci si diverte e si opera meglio; ma deve essere sempre per iniziativa personale. Ogni iniziativa deve curare due aspetti: quello professionale e quello apostolico. L’aspetto professionale consiste nel portare avanti un obiettivo con competenza e responsabilità oggettiva, a prescindere dalle buone intenzioni con cui ci si muove: se si distribuiscono medicinali scaduti si rischia di fare del male volendo fare il bene. Se si organizza un corso di orientamento non basta che sia apostolico, occorre che sia fatto bene. Però un cristiano non si accontenta di essere un buon professionista o un buon tecnico. Vede sempre persone, anime, tanto più se è lui che le avvicina per uno scopo socialmente valido. L’aspetto apostolico innanzitutto si cura in se stessi: operare il bene rende sempre più capaci di fare il bene; matura, rende esperti, fa maturare talenti nascosti. Il primo beneficato nel fare del bene è colui che lo fa. Ma anche si tratta di conoscere gente nuova e poter fare una semplice confidenza della propria fede; può essere che interessi più del fatto professionale o sociale che si sta portando avanti. Con l’apostolato di amicizia e confidenza è chiaro che non si fanno attività per portare gente all’Opera, perché una confidenza non è un invito. Sarà l’interessato a dimostrarsi o meno interessato ad andare oltre il contenuto di quell’attività concreta.
San Josemaría ci indicava due attività ausiliarie maggiormente legate alla formazione e all’apostolato di chi va al circolo: le visite ai poveri e la catechesi. Queste due attività vengono promosse insieme ai circoli, senza venir meno al modo laicale con cui ci muoviamo. Per esempio le visite ai poveri non sono mai un fatto organizzativo di cui l’Opera si prende carico, ma neppure i ragazzi che vanno al circolo devono dar vita a strutture assistenziali stabili; correrebbero il rischio di dedicarsi ai bisognosi e studiare di meno; poi dopo due o tre anni rimarrebbero dei professionisti poco preparati che non potranno fare tutto il bene che un buon professionista può fare con il suo lavoro per tutta la vita. Naturalmente, finendo gli studi, ognuno è libero di lavorare dove vuole, anche montando un’opera assistenziale stabile. Ma allora sarà del tutto a suo carico, insieme con coloro che vogliono collaborare con lui. Persone dell’Opera, con loro amici, hanno dato vita ad innumerevoli attività, dalle scuole agli ospedali, agli ambulatori, alle università, ecc. Ma se ne assumono tutta la responsabilità civile, senza scaricare nulla sulla Chiesa o sull’Opera. Molti, che hanno mentalità clericale (anche tra i laicisti!) non capiranno questa autentica autonomia laicale delle persone che vivono lo spirito dell’Opus Dei, ma non c’è da meravigliarsi e tanto meno da lasciarsi frenare. Da questo fraintendimento sono sorte alcune delle “leggende metropolitane” sull’Opus Dei.
Da tutto ciò deriva un ideale bellissimo di piena umanità e di fede schietta e incisiva. Tanti hanno lasciato il mondo per monasteri e conventi; altri si muovono nel mondo in modo confessionale, con etichetta cattolica; ogni realtà ecclesiale porta il suo dono a tutta la Chiesa e questo non vuol dire paragonarsi o esaltarsi. All’Opus Dei Dio chiede di rendere il Vangelo vivo e amabile nel bel mezzo della strada, negli uffici, nelle campagne, nelle fabbriche, nelle scuole, ecc, dove gli uomini e le donne lavorano. Ma con unità di vita: sapendo curare la propria vita interiore insieme al lavoro e all’amicizia o collaborazione con gli altri, con chiara istanza apostolica.
Perché i centri dell’Opus Dei non sono misti
Può meravigliare, rispetto alla cultura imperante, che i mezzi di formazione della Prelatura dell’Opus Dei si rivolge solo a ragazzi o solo a ragazze, solo a uomini o solo a donne. La spiegazione più semplice, anche se per qualcuno difficile da capire, viene dal fatto che il 2 ottobre del 1928 san Josemaría non vide le donne, ma solo uomini e sacerdoti. Un anno e mezzo dopo, il 14 febbraio 1930, quando Dio gli fece vedere le donne, rimase chiara la separazione.
In modo particolare si può capire la separazione attraverso lo spirito più genuino dell’Opus Dei: l’ideale di santificazione in mezzo al mondo non cambia la vita sociale, i rapporti familiari, di lavoro, a scuola. Lì si deve trovare un giusto rapporto tra ragazzi e ragazze. L’Opus Dei non risolve questi problemi e non toglie da questi problemi. Sarebbe diverso se l’Opus Dei fosse un gruppo sociale, o un movimento ecclesiale, con valenza anche sociale. L’Opus Dei è unione in Cristo nella massima normalità. In Cristo non c’è problema di uomo o donna, ma c’è un problema di un legame primario nella fede, che facilmente viene posposto al legame sociale, soprattutto nell’età degli innamoramenti. Questi bisogna giocarseli normalmente in mezzo al mondo, ma può andar bene che nel cercare Gesù si sia aiutati dagli altri a metterci tutto il cuore. Con un ambiente misto può essere più difficile. Ci sono movimenti che hanno una tensione spirituale primaria che supera il fatto sociale del rapporto ragazzo-ragazza, ma appena si affievolisce l’afflato primario della fede subito prevale il rapporto sociale. Nei gruppi cristiani non primari il fatto sociale facilmente prevale; nelle parrocchie soprattutto, finché si è giovani è facile cercare il fatto sociale, appena infarinato di catechesi cristiana. Con lo spirito dell’Opus Dei non vale la soluzione di alcuni movimenti che riescono a orientare il cuore a Cristo pur nel condizionamento sociale misto, perché si cerca di rafforzare la scelta interiore, che unisce in comunione forte, ma nella normalità sociale. Con lo spirito dell’Opus Dei la formazione differenziata avviene senza chiusura sociale, senza creare diaframmi con l’altro sesso, perché ognuno continua a vivere la sua vita nel mondo. Da notare che di fatto ne derivano matrimoni molto più belli, fedeli, fecondi, della media dei cristiani che vanno a messa la domenica. Questo vuol dire che c’è qualcosa di sostanziale, di corrispondente alla natura umana, nel mantenere una formazione separata tra ragazzi e ragazze e anche tra uomini e donne per quello che riguarda la vita spirituale.
Infatti non è da disdegnare un’analisi più approfondita del perché nei secoli l’educazione è sempre stata differenziata. Il fatto che oggi è ormai quasi tutto misto in qualsiasi stadio della crescita può far sembrare che sia un progresso. Ma la cosa ha molto dell’ideologico. La promiscuità totale a scuola e nelle attività sociali, anche in chiesa, ha portato ad alcune conseguenze, non tutte positive, di cui non si vuole assolutamente prendere atto, perlomeno in Italia, dove il fatto ideologico, con substrato marxista, è stato più esteso. Gli anglosassoni stanno rivedendo la validità dell’educazione promiscua negli anni della preadolescenza e dell’adolescenza. E rimando a quegli studi per capire alcune cose molto importanti. Anatrella, noto psicologo francese, studia le conseguenze antropologiche della promiscuità precoce. Le ragazzine pensano che l’amore umano sia uguale in loro e nei maschi; ma dato che non è vero finiscono per convincersi che il loro ragazzo non le ami più, perché non rispondono alle loro numerose sensazioni e voglie. Mentre fino a 50 anni fa le donne erano fedelissime al loro uomo, oggi su dieci famiglie che si sfasciano o su 10 fidanzamenti assodati che si rompono, 8 o 9 sono voluti dalla donna, con una fortissima destabilizzazione della fiducia nel vincolo fondamentale per l’identità personale e per la lealtà sociale. Se una sana psicologia dell’età evolutiva vede i primi 12 anni come scoperta dell’essere amati, dai 12 ai 18 anni sarebbe l’età dell’imparare ad amare se stessi, scoprendo le proprie capacità, rafforzando la propria personalità, con amicizie e progettualità, sport e cultura, musica e letture, volontariato o politica, ecc. Ma non in contesto promiscuo perché entra un elemento di paragone, di conquista affettiva, di sessualità, di sentimenti travolgenti che soffocano e confondono gli altri interessi. Solo con una personalità forte si può affrontare dopo i 18 anni il dono di sé nell’amore. Altrimenti una ragazzina passa dall’appoggiarsi pienamente ai genitori all’appoggiarsi pienamente al gruppo misto e al fidanzatino, senza imparare a stare in piedi da sola, rafforzando la propria personalità (vale anche al maschile). Buttarsi nell’oceano dei sentimenti e della sessualità troppo presto sconvolge la crescita della personalità e porta a rapporti simbiotici di vario genere. Come fa una ragazza a gestire emozioni, paragoni, gelosie, legami possessivi, competizione sessuale, nella preadolescenza (12-13 anni)? È vera follia quella che si è scatenata, con la conseguenza di un cambio di civiltà profondissimo che parte dalla sessualità separata dalla generazione e cioè dal matrimonio. Oggi questo è il vero dogma su cui si reggono tanti altri slogan e tanta promiscuità sociale. Ma si vede aumentare la conflittualità tra uomo e donna, le separazioni, le depressioni dei giovani lasciati sempre più da una ragazza amata e considerata fidanzata e futura moglie. Non si vuole ancora aprire gli occhi sulle sofferenze immani proprie di una civiltà di morte, morte dell’amore oblativo, dell’amore per sempre, vero cuore della civiltà umana.
È bene pensare alla possibilità di vivere fino ai 18 anni circa in un ambiente di amicizia aperta a tante esperienze e con tanti amici del proprio sesso. Può diventare una proposta sociale vincente se si ritrova la parresia(la franchezza e la libertà) di vivere al meglio la propria vita. Non è certo un privarsi di esperienze più umane, ma al contrario, di non perdere tante possibilità che la vita promiscua in qualche modo esclude o problematizza. Se si osserva l’intervallo scolastico di una scuola media in regime di separazione, si vedrà subito che tra i maschi c’è chi gioca a calcio o altro sport, chi organizza un campionato o altro, chi ha interessi politici; tra le ragazze si chiacchera moltissimo e al massimo si gioca a pallina (tirarsi la palla in qualche modo, cosa che non esclude che fuori da scuola molte ragazze facciano sport vero e campionati, ma nel sociale preferiscono parlare e giochicchiare). Se si vede l’intervallo di una scuola mista è esattamente come quella di sole ragazze: si chiacchera, si fanno scherzetti, si giochicchia. I ragazzi hanno bisogno di crescere nelle virtù maschili, di organizzazione, di gara, ecc. Oggi le ragazze eccellono anche in queste cose, ma con grande indebolimento della personalità maschile e molta confusione su ciò che rende stabili i rapporti familiari.
Se si guarda l’Europa, l’antica terra pienamente cristiana, si rimane allibiti di fronte alla superficialità, all’indifferenza, all’astio, alla contrapposizione nei confronti del cristianesimo, specialmente del cattolicesimo. La cultura è guidata da gente che momentaneamente ha successo, e cioè ha il potere di influire. Con quelle idee secolarizzate si distrugge la famiglia, la fiducia reciproca, la solidarietà sociale, l’educazione serena dei giovani, con conseguenze sempre più distruttive. La depressione che prende chi è lasciato, facile destabilizzazione dei figli di famiglie divise, prostituzione, alcolismo, egoismo sessuale, droga, violenza, criminalità, astio sociale, raggiungono sfere estesissime di giovani e meno giovani. Quando chi ha successo e decide di tante sorti pubbliche della vita sociale, cade in disgrazia (per un tumore, per la perdita del lavoro o del potere, per una moglie che si separa o un marito che tradisce, per un figlio che si droga… tutte cose che di colpo distruggono ogni sicumera secolaristica), viene lasciato ai margini, ignorato, defenestrato, e altri prendono il suo potere e perpetuano una civiltà di morte. Di fronte a questo i Papi ci spingono ad una nuova evangelizzazione. Per questo però occorre che i cristiani innanzitutto si evangelizzino come i primi cristiani, nella fede viva, nella comunione primaria, e non solo nella religione, come per secoli sono rimasti quasi tutti i laici. La nuova evangelizzazione può avvenire solo attraverso miriadi di nuclei di comunione primaria carismatica, in ogni parrocchia e ovunque si trovino a vivere tre o più cristiani. Con gli insegnamenti e la traccia viva lasciataci da san Josemaría la nuova evangelizzazione è quanto mai attraente ed efficace10. “Nuovi santi esperti in umanità”, diceva il beato Giovanni Paolo II; è un’istantanea di chi desidera la santificazione nel lavoro quotidiano.
Sommario
Distinguere nel cristianesimo religione e fede 128
Tutti hanno un legame sociale primario 129
Cosa scoprire per andare al circolo 134
Come si concretizza la scelta del circolo 138
Apostolato di amicizia e confidenza 140
Condivisione spirituale e materiale 142
Attività ausiliarie e laicità 144
AIUTARE A VIVERE UN IDEALE DI VITA CRISTIANA IN MEZZO AL MONDO
Spiritualità di comunione
Occorre aver presente l’opuscolo Un ideale cristiano, l’Opus Dei per i giovani, n° 1: quadro di riferimento. Lì si inizia con due chiarimenti che possono essere decisivi: distinguere fede da religione nel cristianesimo e l’importanza determinante di saper distinguere un legame primario nell’Opera di San Raffaele (e in genere nella realtà dell’appartenenza cristiana) rispetto ad una frequentazione secondaria (perché comunque i ragazzi un legame sociale primario ce l’hanno sempre e se non è con noi rimangono praticamente refrattari a qualunque formazione). Rispetto a quanto detto in quell’opuscolo occorre prendere molto sul serio la presa di coscienza che un legame primario lo hanno tutti e praticamente determina l’uso della ragione e le scelte quotidiane di vita. Il libro Liberare l’Amore studia a fondo questo tema, anche se allora parlavo di consenso per vivere, dentro una società vitale, dentro un problema radicale di amore. Ma posso dire che ben pochi tra i lettori hanno colto il paradigma del gruppo primario in cui tutti viviamo. Può sembrare un discorso sociologico, ma in realtà il primo gruppo primario è la Trinità; poi c’è Pentecoste, che instaura il Regno, e cioè un legame di amore nuovo, in Cristo, che dovrebbe essere primario rispetto a tutti gli altri legami (“chi non odia suo padre e sua madre, sua moglie e i suoi figli…). L’Opera è chiaramente un legame primario, vocazionale, che dovrebbe estendersi all’Opera di San Raffaele e ai cooperatori, ma questo succede solo per caso. Tre sono le cose da approfondire bene: cosa vuol dire che tutti pensano e agiscono sempre dentro le coordinate dogmatiche e morali di un gruppo primario (da quelli più elevati a quelli più perversi, tipo le Bestie di Satana). Come parlare ai ragazzi perché subito e liberamente si uniscano a noi in un legame cristiano, che se non è primario non è nulla. Terzo: come seguire quotidianamente l’Opera di San Raffaele, con ragazzi che di fatto hanno messo il cuore nell’Opera.
Per la comunione primaria si dà la vita, per un interesse secondario si dà pochissimo. i primi cristiani facevano comunità primarie, le parrocchie in genere non lo sono. (dopo la GMG 8 vescovi davano i loro consigli; li ho letti, ma per quanto buoni non cambiano nulla, per esperienza pluridecennale. Dovevano dire: occorre che la Chiesa generi ovunque una spiritualità di comunione primaria rispetto a tutti i vincoli sociali. Come fanno i movimenti carismatici? Come parlare ai giovani perché scelgano Gesù in una comunione carismatica? Come organizzare le parrocchie perché siano animate da cristiani veri? Ecco quello che dovrebbero dirsi i vescovi, secondo me).
Nell’altro testo dico: Si può pensare certamente che i tempi sono duri, ma là dove c’è comunione primaria nella fede si fa fronte benissimo al secolarismo imperante, al pansessualismo giovanile, all’ambiente anche ostile in cui dobbiamo muoverci, alla fragilità della fedeltà. Oggi è difficilissimo trovare un sacerdote che sappia parlare ad un giovane di un fidanzamento casto, mentre nei gruppi primari cattolici lo si vive sufficientemente bene. Si tratta proprio di entrare in un paradigma che era di san Josemaría e degli apostoli del nostro tempo sopra citati, e che noi rischiamo di leggere con un paradigma molto più ridotto.
Aggiungo la costatazione che le realtà carismatiche che sono fiorite nel secolo XX (tra cui l’Opera, fino ai soprannumerari) dimostrano come una comunione primaria attraversa ogni ostacolo, vince il secolarismo, fa vivere la castità prematrimoniale e quella nella famiglia, con gioia e fecondità di figli e di vocazioni al celibato, rende apostolici, non si pensa mai al divorzio e tantomeno all’aborto, non si parla di eutanasia perché si curano gli anziani e i malati, ecc. Ecco la nuova evangelizzazione!11
Attorno a nostro Padre il legame era quello dell’Opera, sposato sia da chi ne diventava membro, che dai ragazzi di san Raffaele. Nostro Padre non usava parole clericali né voleva comunità cristiane per il suo apostolato, ma creava una comunione profondissima. Lui parlava di vita di famiglia, di essere “di Casa”, e l’essere “di Casa” è un vincolo di amore senz’altro primario, con uno spirito di corpo sano e santo (Pentecoste!) che rende pronti anche a dare la vita per il bene di tutti. I ragazzi di san Raffaele e i cooperatori li vedeva di fatto in Casa, arrivando a dire: “dite ai cooperatori che l’Opera è loro” e scrivendo per i giovani nella lettera del 24-X-42, n° 7: “Hay indudablemente una union muy estrecha de los chicos de San Rafael con la Obra. De hecho, forman parte de esta familia sobrenatural, que es el Opus Dei: voluntariamente quieren recibir su calor, adquirir al menos su espiritu basico propio, y colaborar en la tarea espiritual con los socios que integran la Obra”. E al n°. 3: “Han de darse cuenta de que participan activamente en algo muy importante, porque vienen a diponerse, para ser despues buenos padres de familia o –si Dios quiere – almas totalmente dedicadas a su servicio. Por eso se le exige empeño, seriedad; un principio de compromiso, sentido de responsabilidad”12. Al numero 17: “es, sin embargo, cosa clara che los que vienen a formarse junto a nosotros sienten un cambio, una sacudida interior, que harà a muchos mudar su vida; y, a todos, despertar en su conciencia la obligacion de tratar de vivir como catolicos consecuentes”13.
Tutti pensiamo di fare come ci ha insegnato nostro Padre. Di fatto però non si è tematizzato il modo semplice e formidabile con cui nostro Padre parlava di primo acchito dell’Opera ai ragazzi. Aveva un modo di presentare l’Opera e porre di fronte ad una scelta che facilmente può sfuggirci. Di fatto nostro Padre creava con grande facilità una appartenenza primaria, ma non ha teorizzato il modo di renderla possibile per tanti ragazzi (come non ha teorizzato il modo di parlare di vocazione, perché è un proporre la nostra vita). Nella Quem per annos ci sono molti elementi da comunione primaria (in parte li ho citati), ma non c’è indicazione di come parlare del circolo ai ragazzi. Però si può cercare di capire cosa avveniva quando un ragazzo parlava con nostro Padre o anche con i primi dell’Opera, che prendevano direttamente da nostro Padre. In cinque minuti metteva col cuore in Casa tutti quelli che andavano da lui ben intenzionati. Vari ci si mettevano così bene che chiedevano l’ammissione subito da numerari. Fin che lui ha potuto seguiva i ragazzi di san Raffaele come quelli di Casa (inviava Noticias a tutti, durante la guerra o nelle estati; aveva delle schede di ogni ragazzo in cui indicava tutti gli elementi di un cammino di santità). Però col tempo tante cose vanno cambiando e noi di fatto lasciamo la forza di una proposta vocazionale solo per chi può capirla a livello di numerario, aggregato o soprannumerario. Mentre è il battesimo che si può vivere bene solo in modo vocazionale. Si dà ancora in alcuni nostri centri il formarsi di un ambiente molto caldo in cui vari ragazzi vivono di fatto come a casa loro e in piena comunione con le persone dell’Opera; questo perché se tutti hanno sempre una appartenenza primaria nulla vieta che si realizzi quando l’ambiente è fortemente attraente. Ma è sempre più difficile ottenerlo e pertanto è importante prendere coscienza di come si possa ottenere facilmente. Mi sento di dire che l’80% circa dell’efficacia del lavoro dell’Opera dipende da come si parla del circolo.
Va tenuto presente anche il fatto che per nostro Padre era ed è molto importante non fare gruppo, mentalità di associazione, movimento o altro. Questo però può portare a parlare più di formazione che di appartenenza, mentre dovrebbe darsi una spinta contraria: dato che non possiamo porre davanti agli occhi un gruppo compatto, con le divise come gli scouts o con una comunità forte come Comunione e Liberazione o i Neocatecumenali, dove si dà visibilmente un “dentro” o un fuori”, è molto più importante prendere coscienza di come l’Opera di san Raffaele è “Casa” e di come porli di fronte ad una scelta spirituale per sentirsi portatori di un compito divino, insieme agli altri che vanno ai circoli e alle persone dell’Opera. Molto dipende dalla consapevolezza e dal modo con cui si parla. Se non si è coscienti di come favorire in modo semplice e veloce la scelta di un cammino primario, si perde proprio la forza inimmaginabile dello spirito di corpo primario (della lealtà che ogni cuore inserra verso i vincoli di amore) e pertanto la fede, che si può vivere solo in comunione.
A me è successo a Napoli nel 1963 di capire come nostro Padre considerava i ragazzi di san Raffaele alla stregua dei numerari (Leggendo la nota di don Alvaro nell’Istruzione sull’Opera di San Raffaele, che dice: Nostro Padre all’inizio non distingueva tra gente di Casa e ragazzi di San Raffaele). Appena capii come far operare una scelta di campo radicale parlai subito con 47 ragazzi (insegnavo al liceo) e tutti accettarono! Si apriva un orizzonte di centinaia di migliaia di ragazzi di san Raffele, ma occorrono occhi per vederli. Del resto il richiamo alle 500 vocazioni richiede un cambio dentro di noi; non basta aumentare lo sforzo e pregare che Dio li mandi. Occorre una preghiera che ci coinvolga e coinvolga molti ragazzi14. Nella scelta del circolo chiarivo tutto un “pacchetto” di mezzi soprannaturali su cui Gesù deve poter contare, e con Gesù anche coloro che camminano insieme: piano di vita, direzione spirituale, corso di ritiro, convivenze, apostolato di amicizia e confidenza, studio, sala di studio, meditazione settimanale, ritiro mensile. Quando si parla ad uno da numerario c’è ben altro; per i s c’è in più la convivenza anche da sposati. Non è il “pacchetto” che spaventa, se lo si lascia alla sua scelta libera di fronte alla chiamata di Gesù a lavorare nella sua vigna. Dopo, però, occorre seguirli come persone “di casa” e aiutarli a vivere quelle cose. Un soprannumerario sa quali impegni si prende, tra cui il corso di ritiro e la settimana di studio; li fa propri e non c’è da convincerlo ogni volta. Ugualmente dovrebbe succedere con chi va al circolo, con pratiche ridotte ma chiare e da far proprie.
Come parlare ai ragazzi del circolo
Perché un ragazzo metta il cuore in “Casa” molto dipende da come gli si parla per andare al circolo. In un gruppo primario ci si entra attraverso il desiderio di un ragazzo di farsi accogliere da altri ragazzi che vede uniti da comuni interessi. È tanto il bisogno di appartenenza primaria che chi non ce l’ha ancora (o meglio, vive ancora sotto l’egida esistenziale della famiglia) o sta entrando in crisi con quello in cui si ritrova di fatto a vivere, se vederagazzi che si riconoscono gli viene una gran voglia di essere accolto. Tanto è il bisogno che si passa sopra i contenuti di quel gruppo, e oggi i contenuti in genere sono molto banali, ma non è banale aver successo dentro quel gruppo. Fondamentale per la Chiesa che ogni comunità cristiana sia attraente in senso primario, per coinvolgere molti giovani e anche non giovani.
Se un ragazzino va a messa e vede un gruppo di scouts che dopo la messa partiranno per la montagna, facilmente il suo cuore viene attirato, e se tutto va bene si decide e in pochissimi giorni ha già imparato tutto ciò che è essenziale per essere un buon scout. Così succede con i gruppi carismatici, che in genere sono ben visibili. Ho già citato l’esempio dei Neocatecumenali che formano gruppi di circa trenta e poi partono ben decisi. O dentro o fuori, ma se dentro si prende tutto, e difatti diventano molto radicali, con notevole parresia.
Non così succede con l’Opera, che non fa gruppo visibile. Questo non facilita una scelta chiara e cosciente, visibile ed operativa, di un “dentro” o “fuori”. Con nostro Padre i ragazzi uniti intorno a lui suscitavano una fortissima attrazione per chiunque entrasse in contatto con loro. Di fatto avveniva l’impatto iniziale, con la scelta del cuore. Ma non essendoci una visibilità istituita del gruppo, facilmente si propone ai ragazzi un discorso di formazione. Di fatto, quando parliamo di vocazione mettiamo di fronte ad una scelta, mentre per l’Opera di san Raffaele ci accontentiamo di un po’ di buona volontà. E se parliamo di scelta non diventa però una vera scelta di fondo. Da aggiungere che in questi tempi il trovare un ambiente di soli ragazzi o sole ragazze può incuriosire e interessare come gruppo secondario, come possibilità di sapere qualcosa in più di cristianesimo o di avere qualche amico personale, ma difficilmente di primo acchito attrae come gruppo primario (cosa invece che succedeva fino agli anni 70. Tuttavia questo non è un problema se scatta la scelta primaria, che affronta qualsiasi ostacolo e va tranquillamente controcorrente).
All’inizio, quando non c’è nessun ragazzo di san Raffaele, si tratta di trovarne tre o quattro. Questo può presentare difficoltà e molto dipende dal fascino dei numerari o aggregati (o anche soprannumerari, là dove non c’è un centro dell’Opera). Partiamo però dando per costituito un primo nucleo (anche se dovrò tornare su questo, perché molto dipende da come si è costituito il primo nucleo). Con tre ragazzi di san Raffele col cuore in Casa, un numerario con un certo fascino e qualche ora al giorno di tempo, si può pensare all’espansione. Con quei tre ragazzi si imposta una o più attività ausiliarie, concepite in modo tale che faccia crescere quei ragazzi nella responsabilità di fare l’Opera, vivendo un sano protagonismo. Ma l’attività deve permettere a quei ragazzi di contattare tanti altri ragazzi e promuovere un certo ambiente di lavoro insieme, tertulie, amicizia.
Quando c’è un po’ di ambiente si può parlare con chi dà una sufficiente certezza morale di capire. Nostro Padre, nella Quem per annos dice che non c’è bisogno di aspettare molto tempo per parlare ad un ragazzo dell’ideale di san Raffaele. Dice pure di conoscerlo un po’. Nel parlare occorre rendere vere le parole di nostro Padre nella Quem per annos n. 17: “es, sin embargo, cosa clara che los que vienen a formarse junto a nosotros sienten un cambio, una sacudida interior, que harà a muchos mudar su vida; y, a todos, despertar en su conciencia la obligacion de tratar de vivir como catolicos consecuentes”.
La Quem per annos describe stupendamente l‘Opera di san Raffaele come cammino di santità, ma non dice nulla su come parlare del circolo. Del resto nostro Padre non ci ha mai detto come parlare di vocazione, dato che è la nostra vita a parlare, con parole spontanee che devono sgorgare dal cuore. Eppure è importante un chiaro discernimento di come provocare il dentro o fuori necessario per chi voglia partire con noi15.
Molto dipende da come provochiamo la scossa interiore, che provoca il cambio. Nostro Padre lo otteneva subito, a meno che non reputasse di dover aspettare. Lo si vede benissimo in quel giorno a Valladolid in cui spiegò l’Opera (si sono aperti i commini divini della terra… anche a te Dio chiede… non solo ai religiosi… ) ai primi ragazzi della città, chiamati al telefono, e poi disse loro: chi ci sta vada e torni con un amico. Da quel momento tutti si sentirono partecipi e “di Casa” ed iniziarono il circolo. Addirittura otteneva subito anche la vocazione, perlomeno in un certo periodo: “Finora, dato curioso, tutte le vocazioni all’Opera di Dio sono state repentine. Come quelle degli apostoli: conoscere Gesù e seguire la chiamata. Il primo non dubitò. Venne con me dietro a Gesù alla ventura (…) Il giorno di S. Bartolomeo, Isidoro; per S. Filippo, Pepe M.A.; per S. Giovanni, Adolfo; poi, Sebastian Cirac: così tutti. Nessuno dubitò; conoscere Cristo e seguirlo fu tutt’uno: Gesù fa che perseverino; e invia altri apostoli alla tua Opera” (citato da Vazquez de Prada. I, 481). Ed è che un discorso vocazionale bello avvince. Certamente oggi non è il caso di parlare subito di vocazione al celibato, ma molto presto si può parlare di una scelta vocazionale di Cristo, come portato del battesimo e della vita di fede, ben diversa da un po’ di religione. È l’unico modo di proporre il Vangelo.
El principio de compromiso non si ottiene semplicemente offrendo dei mezzi di formazione per migliorare la loro vita cristiana, ma con la testimonianza di chi ha scelto Gesù nel cammino aperto dal Fondatore dell’Opus Dei, sapendo che nessuno può scegliere Gesù senza una realtà ecclesiale forte. Se un ragazzo ha il cuore nel gruppo di coetanei che si riunisce in discoteca anche se frequenta il circolo non potrà mai essere coerente col Vangelo (senza però escludere che se mettono il cuore nell’Opera di san Raffaele non possano anche andare qualche volta in una discoteca decorosa). Li si pone con simpatia e chiarezza davanti alla possibilità di andare al circolo, spiegando però che il circolo è solo per coloro che scelgono di essere cristiani con lo spirito di san Josemaría, in mezzo al mondo e con una schietta umanità. Li si pone di fronte ad una scelta di un ideale, libera ma senza compromessi. Lo spirito dell’Opera può affascinarli nella sua semplicità laicale, senza apparato associativo, senza impegni avulsi dal loro mondo di lavoro che rimane il luogo dove vivere la loro fede cristiana e la loro proiezione apostolica, e ancor più come compito di sanare le realtà create. Ma proprio perché non c’è un chiaro passaggio esteriore, come avviene in realtà carismatiche molto caratterizzate, è più importante ancora che capiscano el principio de compromiso, la comunione interiore e fraterna che si viene a creare e possano operare una scelta che li scuota interiormente, con l’entrata vera nell’Opera di san Raffaele, che deve essere primaria. Nostro Padre, sempre nella lettera del 24-X-42 dice che i ragazzi di san Raffaele di fatto fanno parte della nostra famiglia, vivono lo spirito basico dell’Opera, sentono il calore della famiglia, si uniscono con le persone dell’Opera nell’apostolato. Tutto ciò crea un legame profondo, di amore, di fraternità, di compito apostolico, che determina uno stacco chiaro rispetto ad una vita cristiana della domenica.
Molto dipende da cosa si dice.
Qui si dà un canovaccio, con varie idee, sapendo che non c’è un discorso uguale all’altro. Però il parlare è di tipo vocazionale e non semplicemente formativo. Importante è saper presentare il Vangelo, a tutti, anche miscredenti, come sequela di Cristo in comunione primaria, altrimenti non è il Vangelo e Gesù non riesce a salvarci in mezzo al mondo. Questo deve essere la testimonianza semplice verso tutti, a prescindere se li si ritiene idonei per lo spirito dell’Opera. Non si può continuare a pensare che ci sono due cristianesimi, quello dei comandamenti e quello dei consigli. Ci sono vocazioni specifiche diverse, ma il segreto è nel battesimo e nella chiamata universale alla santità. Universale non vuol dire generica o astratta, bensì personale, per ciascun battezzato.
Quando un ragazzo è già entrato in qualche modo in contatto con l’ambiente dell’Opera di san Raffaele, si può iniziare dicendo che il segreto dei nostri ambienti è l’ideale vissuto da chi va al circolo. Però per andare al circolo occorre capire bene la scelta cristiana di cui si parlerà nel circolo. Il circolo non è come una lezione di catechismo o dottrinale. Si spiega in qualche modo che Gesù è mosso da un grande amore per te e per ogni persona, con il peso del mondo sulle spalle. “Gesù HA BISOGNO DI AMICI SU CUI CONTARE. E può contare solo su chi crede veramente in Lui come salvatore, come Vita, come futuro, come Verità, ed è disposto a SEGUIRLO (SEQUELA) e a dargli una mano. Per esempio, tu conosci Tizio, lui, come Caio e Sempronio, sono “matti” su cui Gesù può contare, con tutti i loro limiti e difetti (“discrete indiscrezioni”). Non si tratta di diventare della Prelatura…. È il battesimo che ci incorpora a Cristo, e con lo spirito dell’Opera si può vivere il battesimo nella vita ordinaria, mentre studi, o ti diverti, o preghi, o dormi. Però Gesù ha bisogno di amici suoi, che 1) cerchino di amarlo (vita interiore, piano di vita, presenza di Dio), 2) cerchino di amare gli altri (vita di famiglia, amicizia, apostolato), e 3) prendano sul serio il loro studio come luogo dove servire Gesù e le persone che si incontrano sulla base di una autentica responsabilità civile in mezzo ai problemi umani (è fondamentale esplicitare questi tre aspetti).
Giovanni Paolo II nella Christifideles laici, diceva che la Chiesa ha come desiderio più profondo “l’ascolto da parte dei fedeli laici dell’appello di Cristo a lavorare nella sua vigna, a prendere parte viva, consapevole e responsabile alla missione della chiesa” (n° 3). Poco sopra diceva della “responsabilità che tutti i fedeli laici hanno nella comunione e missione della chiesa” (n° 2). Questo implica anche l’ascolto della Chiesa, che valuta insieme all’interessato la chiamata di Gesù a lavorare nella sua vigna. E ti dirò che nel tuo caso, dopo aver pregato e conoscendoti, posso dirti che Gesù conta su di te, lì dove sei, ma con una svolta nella tua vita: cogliere il compito divino di dare una mano a Gesù col tuo lavoro, con i tuoi amici, unendoti di fatto a quelli che vedi qui che vogliono questo, che vanno al circolo, questo vuol dire “responsabilità nella comunione e missione della Chiesa”.
È Gesù che chiama. La fede cristiana è sempre vocazionale, chiamati da Gesù per lavorare nel suo Regno. Non si tratta di vocazione al celibato, ma alla santità, che è implicita nel battesimo. Però senza paura, senza tema che Gesù chieda troppo. Gesù ha bisogno di amici che vogliano esserlo sul serio, con una scelta libera e generosa. Del resto è il vero modo di essere cristiani, e di vivere l’avventura del Vangelo, ma occorre gente generosa che lo voglia liberamente. Tu cosa pensi di Gesù? Saresti pronto a dargli una mano? Hai paura che ti chieda troppo? Chi ha paura non conosce l’amore. Gesù è il salvatore, non un profittatore. I mediocri temono che se gli dai un dito ti prenda la mano; in realtà se gli dai un dito ti mette un bell’anello. E se gli dai la mano ti mette un braccialetto. Il cristianesimo è per chi ha capito questo e gli si dà la testa, per essere incoronato da un diadema e da una splendida collana. Comunque Gesù vuole piena libertà. Non vale chiedere sconti a Gesù e al Vangelo16. Gli sconti li chiede chi riduce il Vangelo ad una religione naturale, dove Dio rimane lontano e basta comportarsi bene e andare a messa la domenica17.
TU COME LA VEDI? CHE DIFFICOLTA’ AVRESTI? Pensaci bene, sentiti libero, anzi, se non ti vedo libero sufficientemente sono io a consigliarti di aspettare. Ma non si aspetta se si vede, con un po’ di fede, che è un dono che Gesù ti fa. Se non si vede si prega, si parla col sacerdote, si fa quel che si può, puoi venire come vuoi, soprattutto alla meditazione, ma non ti consiglio di andare al circolo. Se vedi abbastanza ti consiglio di buttarti, con tutto il cuore. L’avventura inizia solo quando ci si IMBARCA. Con una gamba sulla barca e l’altra a riva non si è a metà del viaggio, si è sempre a terra, si calcola, si rimane mediocri. Nel “mondo nuovo” ci si arriva solo imbarcandosi con Gesù, nella sua Chiesa, in comunione primaria. Per tanti cristiani la messa alla domenica non è un vero cammino cristiano, ma solo un po’ di religione. Il Vangelo se non lo prendi tutto non funziona; a metà non funziona. Il Vangelo è un’avventura ma solo per chi lo sposa. Non si tratta di farsi prete o numerario, ma di credere in Gesù che ti vuole santificare (Lui, perché “senza di me non potete fare nulla). Non è il celibato ma il battesimo che ci chiede di imbarcarci sulla nave di Cristo. (Lui ha molte navi nella sua flotta, e c’è libertà di scelta, ma non di rimanere a riva e credersi cristiani: il cristiano della domenica non potrà mai capire il SOGNO DEL VANGELO). La Chiesa è una grande flotta di navi che vanno nel Mondo Nuovo, oltreoceano. La nave ammiraglia è la Santa Sede, con al comando il Papa. Le altre sono tante, ma solo se primarie rispetto ai vari gruppi primari sociali in cui la gente normalmente vive. Tra quelle attrezzate per il grande viaggio, e che si scelgono con libertà, c’è quella dell’Opera. Il capitano e il timoniere sono come i numerari. Gli ufficiali, che hanno fatto Accademia, sono i soprannumerari. I ragazzi che vanno a circolo e i cooperatori sono i marinai o i sergenti. Non si tratta di serie A, serie B, serie C. Si è tutti della stessa serie, tutti figli di Dio, allo stesso titolo: il battesimo. Le vocazioni specifiche corrispondono a compiti specifici, ma il cuore è lo stesso. Un marinaio, nei momenti di pericolo, può essere più coraggioso e più utile alla causa comune del capitano stesso.
Un altro discorso di sr:
… il circolo è per coloro che vogliono vivere il Vangelo e dare una mano a Gesù con la propria vita normale, secondo il cammino aperto da san Josemaría. (si parte dal circolo perché una scelta primaria si fa sempre su qualcosa di molto concreto che fanno gli altri: si sceglie di seguire la loro TESTIMONIANZA, non solo di tipo personale, ma di ambiente). Poi si può entrare nel contenuto di una scelta cristiana vera in vari modi. Per esempio:
Gesù è meraviglioso. Lo si dà per scontato da parte dei cattolici praticanti e del tutto ignorato dagli altri. Occorre guardarlo, estasiarsi: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”, pensaci bene. Dove trovi un uomo così. E pensa se tu fossi stati lì, tra i soldati, o a gridare il crucifige. E scoprire che hai ucciso l’Innocente eppure Lui ti difende, è dalla tua parte. E così i pubblicani, i peccatori, tu ed io: non sono venuto per i sani ma per gli ammalati…. E pensa a quella peccatrice che gli lava i piedi; non sa come verrà presa. Sente il fariseo parlare molto male di lei. E Lui? Che dirà di me? E Gesù parla di lei, per lodare ogni suo gesto; li ha colti tutti, la esalta. Pensa il tumulto del cuore di quella donna, e come cambierà vita per sempre.
Non si conosce Gesù, né la sua Chiesa. I ragazzi escono dal liceo pensando all’oscurantismo dei papi e dei preti: basta aver letto Il nome della rosa di Umberto Eco, per convincersi che la Chiesa difende una grande menzogna, che Gesù sia Dio, e perché nessuno se ne accorga impedisce di studiare: Galileo, l’Inquisizione, Giordano Bruno (una canzone di Cristicchi parla proprio della grande menzogna e dei preti melliflui e duri che la difendono in tutti i modi). Come il serpente con Eva, fa apparire il volto di Dio come di un despota, senza bontà, ed entra subito il calcolo se conviene sottomettersi (come l’Islam: i sottomessi) per una vaga protezione o ribellarsi ed auto affermarsi. Nella scuola pubblica italiana è facilissimo trovare un professore che con poche battute abbrutisce il volto della Chiesa; e il gioco è fatto. Intanto va studiata bene la storia… E poi imparare a vedere le meraviglie della Chiesa, nei suoi santi, nel Vangelo, in Maria, nella liturgia, nell’assistenza, intorno ai malati, ai poveri, ai moribondi. Se vedi le vetrate di Chartres da fuori sono brutte e informi, ma se la vedi da dentro sono un incanto, così è per la Chiesa. Anche pensando ai sacerdoti; facile dire che si comportano male, ma se fai riflettere un ragazzo sui sacerdoti che ha conosciuto sono tutti simpatici e dediti a volere il suo bene, in quanto hanno preso qualcosa di Gesù: troverai persone gratuite, dedite agli altri, amici, alleati.
Occorre però entrare nella Chiesa con tutto il cuore. Sono legami di amore, con Gesù e tra noi, e l’amore non chiede sconti. Hai visto che qui c’è un ambiente di gente normale, ma avrai notato che c’è qualcosa di diverso, di più che non tra la gente del mondo. Quel qualcosa in più viene da Gesù, scelto, amato, come vita della nostra vita, e dal volerci bene, in Cristo ma anche con amicizia, con collaborazione. Non c’è bisogno di entrare nella Prelatura con vocazione specifica. E’ questione di battesimo. ma il battesimo è radicale, non funziona con sconti. Andare al circolo vuol dire stare con Gesù, imparando ad amarlo con il piano di vita spirituale e la direzione spirituale; vuol dire amare gli altri, nell’amicizia e nell’apostolato personale di amicizia e confidenza; curando bene lo studio che per noi è il luogo dove incontrare Gesù e servirlo negli altri. Si ritrova il gusto delle cose belle: la famiglia, l’amicizia, lo studio, l’intelligenza, il divertimento migliore, la bellezza del mondo creato da Dio, con il compito laicale di renderlo più bello, più umano, e insieme la bellezza della fede. Sapessi come i grandi rimangono entusiasti quando vedono tanta gente indaffarata come loro ma che credono e vivono questi valori. Il mondo porta a perdere fiducia negli altri, negli ideali nobili, quasi che i furbastri siano le persone che meglio si realizzano. Tutti sanno che se ognuno fosse migliore il mondo sarebbe un’altra cosa, ma da soli non si cambia nulla. Noi siamo gente che ci siamo decisi a vivere meglio per il bene di tutti, e allora è un’avventura reale. Qui troverai la gioia di una vita bellissima, come è nei disegni di Dio. Se pensi pochi minuti all’uomo-donna, o a genitori-figli, come Dio li vuole, è da urlo, tanto è bello. Eppure oggi “il mondo” ha fatto dell’amore umano la causa di gran lunga peggiore di tutti i mali che l’umanità ha conosciuto. L’amore rifiutato è la sofferenza più acuta. Avrai conosciuto qualche amico lasciato dalla sua ragazza, roba da depressione per due anni circa. O dei bambini con i genitori separati, non c’è canagliata più grande per loro. Ma si può benissimo andare controcorrente e sognare le cose belle della vita, se si trova un cammino primario in Cristo. Il nostro cammino non fa gruppi e associazioni, non fa comunità, ma fa comunione forte, unione interiore e di amicizia che ci lascia normalissimi e indipendenti in tutte le cose civili, culturali e politiche.
Ci vuole libertà e generosità. E’ da innamorati, o da chi sceglie di farsi innamorare da Gesù. E’ un sogno per chi osa, liberamente. Gesù ti vale più dello studio? Più di una fidanzata?… e il bello è che non ci rimetti lo studio e la fidanzata, ma li collocherai nel disegno di amore di Gesù, nel Regno, in comunione tra noi. Però comunione primaria, altrimenti non vale nulla. Oggi chi difende il proprio potere è sempre in guerra, chi vuole il sesso libero trova l’immensa depressione di chi è lasciato da una donna, o anche solo la paura che avvenga, che brucia ogni sogno e anche la paternità (un padre deve far soffrire la madre e il figlio per distaccarli, ma oggi gli uomini hanno paura a far soffrire la moglie per il figlio, perché lei va dall’avvocato e si separa. Da trent’anni si è persa la paternità, e vengono fuori anche molti più omosessuali!). Mentre il matrimonio come Dio vuole, con una persona che condivida l’amore casto e per sempre, diventa un sogno bellissimo. Come dice Benedetto XVI: con Gesù non si perde nulla di bello, non temete.
Il Vangelo vivo è incontro con Dio in Gesù, morto per me e risorto, qui. Ora. E’ una scelta che va fatta, libera, ma senza calcoli, senza mezzi termini, senza paura. E se Gesù muore per te, avrai timore a stare un po’ con lui nell’orazione, a dargli una mano per farlo conoscere? Ad essere fedele al circolo, al piano di vita, alla direzione spirituale? E, se puoi, a studiare in sala di studio, a fare apostolato con i tuoi amici? In un mondo sempre più ignaro di Cristo non vale fare il cristiano che si barcamena tra la sacrestia e il mondo: non serve a nulla. Di fronte alle prove della vita un po’ di religione senza fede viva non serve proprio a nulla. Se vai in ospedale non vedi molti che trovino conforto nella fede, anche da parte di chi si dichiara praticante, mentre ci sono persone meravigliose nella sofferenza, perché hanno coltivato per anni la fede viva.
Pensaci serenamente, parlane col sacerdote, incomincia a fare orazione, per imparare a parlarne con Gesù. Ma Gesù ama anche la generosità; andare al circolo non è solo un mezzo di formazione. Non è neppure come venire ad una meditazione, ma è una scelta di campo, con diceva Giovanni Paolo II ai giovani di Lione: “è una scelta che va fatta”. Si scelgono grosso modo tre cose (come già detto sopra): essere amici di Gesù, essere amici degli uomini, nell’ambito dello studio o del lavoro. Occorre CONCRETIZZARE la vita interiore, la comunione fraterna (i mezzi di formazione, tertulie e convivenze) e il modo di fare apostolato. Essere amici di Gesù vuol dire curare la vita interiore. Non solo le pratiche esterne, i comportamenti morali stentati, ma orazione, dialogo di amore, presenza di Dio con uno stile molto laicale ma profondo (gli si parla del piano di vita). Curare la fraternità o vita di famiglia vuol dire fare propri (senza che ogni volta ci sia qualcuno che deve convincerci) il circolo, la meditazione settimanale, il ritiro mensile, il corso di ritiro, le convivenze. Essere amici, avere amici, vuol dire essere profondamente umani, come Gesù; imparare a voler bene; preoccuparsi del bene dei tuoi amici, fino al bene più grande: far loro conoscere Gesù. Senza dover convincere nessuno, ma testimoniando con semplicità che da quando ti hanno aiutato a fare orazione, a rivolgerti direttamente a Gesù, la tua vita si va illuminando. E’ questa la testimonianza fondamentale, che ha risvolti di tutti i tipi, spontanei o con cose lette o sentite. Noi lo chiamiamo apostolato di amicizia e confidenza. All’inizio non dà sempre soddisfazioni, ma alla lunga, lungo tutta la vita, possono essere innumerevoli le persone a cui avrai acceso un cerino per testimoniare che esiste la luce. Nelle tenebre può bastare un cerino per attirare a Cristo la gente. E il tutto curando bene i tuoi studi, che per noi sono il luogo dove incontrare Gesù e gli altri.
Bisogna naturalmente saper parlare con fascino del sogno del Vangelo, dello spirito delle beatitudini, della contrapposizione di una vita come dono ricevuto e dato, e la logica del mondo (non basta essere onesti!), fare qualche esempio di santi affascinanti, ma anche “discrete indiscrezioni” su chi va già al circolo. Ecc. Far capire che il Vangelo non si può prendere a metà, come non ci si sposa a metà. Una lettura superficiale del Vangelo può spaventare: “chi non rinuncia a tutto ciò che possiede non può essere mio discepolo”; e subito si pensa a quante rinunce bisogna fare. Il messaggio è diverso: l’accento va posto sul voler essere suo discepolo, non sulle rinunce. Inoltre vuol dire che Gesù vale più di tutto, più dei genitori, più di una fidanzata, più dei soldi, più del lavoro e di ogni successo, ecc. I veterani di Napoleone avevano fatto campagne in Egitto a 50 gradi all’ombra e in Russia a 50 gradi sotto zero; molti erano morti o mutilati. Ma quando Napoleone scappò dall’Elba corsero tutti pronti a morire per lui. E Gesù vale molto di più di Napoleone! Inoltre vuol dire che l’amore inebriante di Gesù deve essere primario, come stiamo dicendo. Come quando ci si sposa “per la buona e la cattiva sorte”, non si pensa alla cattiva sorte, ma a sposarsi, senza paura per qualunque sorte, perché c’è un amore, un legame forte, che vale di più. Da qui viene lo spirito delle beatitudini: per essere beati non occorre esser poveri, prima. Ma chi è beato in Cristo non ha paura della povertà o dell’ingiustizia. E con Cristo la comunione tra noi, come dicevo sopra. Presentare bene il modo laicale, sciolto, naturale, umano, di vivere una comunione forte (non esiste una comunione in Cristo debole!) e poi porli di fronte ad una scelta.
Si può proporre il circolo anche in modo più breve, pur che sia chiaro che occorre scegliere e partire insieme agli altri. Può servire l’esempio di chi gioca in squadra e di chi fa solo il tifo sugli spalti. Forse il modo più bello è quello di far leggere Amare il mondo appassionatamente” spiegando che non è solo per i membri della Prelatura ma per tutti coloro che vanno al circolo. Si può anche dire: che bello sarebbe il mondo se ogni cristiano si decidesse a voler bene agli altri, lavorando onestamente, senza parlare male degli assenti, vedendo le cose al positivo, per come le vuole Dio. Perché tanti lo pensano ma sembra un’utopia? Perché da soli non serve a nulla. Noi vogliamo vivere così; se vuoi puoi unirti a noi e dare una mano a Gesù per mettere il suo amore nel mondo. Il Vangelo è bellissimo per chi lo sposa.
Accanto all’Opera lo spartiacque è determinato dal circolo di san Raffaele o dal circolo dei cooperatori. Noi non presentiamo un gruppo compatto e visibile per dire: o dentro o fuori. Ma è certo che in un gruppo primario ci si entra con due gambe e non solo con una. Ci si imbarca per un’avventura da Nuovo Mondo e pertanto non si può rimanere sulla riva a parlarne per sempre, o al massimo mettere un piede nella barca, e tenere l’altro attaccato alle sicurezze umane. Per noi può essere solo il circolo, ben presentato, come scelta di vita con Gesù, secondo lo spirito di san Josemaria, il modo di far prendere coscienza di essersi imbarcati, o di essere entrati nel “manicomio”, in una nuova Casa. Ma allora occorre presentare il circolo come scelta del “tutto” e non semplicemente come un mezzo di formazione. Tra l’altro perché nel circolo si parlerà di tante cose da far proprie e non solo di nozioni catechistiche come può essere un corso di base. La scelta pertanto non va presa solo sul circolo, ma su ciò che nel circolo si andrà sviluppando: piano di vita, mezzi di formazione adeguati, compresi il corso di ritiro e, per i ragazzi, una convivenza estiva (vedere nell’opuscolo “Un ideale cristiano” n° 1 come chiarire la convivenza estiva prima che vadano al circolo, altrimenti pochi la fanno e si perde una grande occasione). Nessun cammino cristiano può prescindere per i giovani da un momento di formazione e di vita insieme durante l’estate. Può sembrare che l’insieme possa frenare un ragazzo, ma è vero il contrario: ai giovani se chiedi poco non ti danno nulla, se chiedi molto ti danno tutto. Il segreto è semplicemente nel modo come si parla, di come si sa presentare il Vangelo, nel modo come gli si fa vedere gente che vive un’avventura e se vuole unirsi a loro sappia che fanno queste cose.
Un punto da spiegare bene e che può essere determinante per l’atteggiamento da legame primario è quando si spiega che per noi imbarcarci con due gambe e partire, con lo spirito dell’Opera non cambia nulla esteriormente e si rimane sempre liberi civilmente, culturalmente, politicamente, ma in ciò che riguarda la nostra risposta a Gesù ci sono mezzi di formazione, incarichi apostolici, momenti di vita di famiglia che richiedono unità di cuori, disponibilità a variare leggermente i nostri programmi. Concretamente, un ragazzo che va al circolo bene, quando si trova in difficoltà (dopodomani ho un esame!) non lascia di venire al circolo di testa sua, e neppure chiama al telefono dicendo che non può venire. Chiama per chiedere cosa gli conviene fare, in modo che “Anania” (quello con cui Saulo si trovò a vedere cosa fare per Gesù) possa valutare con lui. Se gli dice di rimanere a casa a studiare si santifica come se fosse venuto rischiando qualcosa, se invece, perché lo si conosce e perché l’esame non è proprio domani, gli si fa vedere la bellezza di dare importanza a Gesù, allora lì avviene il legame di unità, di santa obbedienza, che deve caratterizzare un cammino cristiano. Gli si spiega che non si tratta di chiedere permesso, di sentirsi legati, di non sentirsi liberi, ma di capire che stiamo facendo qualcosa di divino, su cui conta Gesù e tutti noi. Le poche cose che ci uniscono fortemente in Cristo non possono dipendere solo dalla sua voglia; non varrebbero nulla. Un appuntamento con la fidanzata non si cambia solo avvertendola che non si va: si concorda (questo passaggio è quello che fa capire ai ragazzi che si stanno impegnando in qualcosa di importante; a volte li si vede titubare e allora gli si dice di maturare, di pregare, di sentirsi liberi, ma anche di considerare cosa gli dà il mondo in cambio)
È più facile iniziare bene e con facilità se precede un po’ di “santa snobbatura” (simile alla santa svergognatezza di Cammino), che si può suscitare con una tertulia in cui c’è qualche canditato all’opera di san Raffaele e quelli che già lo sono. Dopo la tertulia un ragazzo di san Raffaele dice al candidato che lui va al circolo. Semmai ci si vede dopo o un altro giorno. Se il candidato chiede cos’è il circolo si può dire: parlane con XY, direttore del circolo, e magari si va insieme da XY: “Tizio vuol sapere cos’è il circolo”, e prenderanno un appuntamento per parlarne. Di fronte alla domanda, XY è molto più libero di parlare, non per convincere ma per illustrare l’ideale cristiano di quei ragazzi che vanno al circolo.
Si continua facendo notare che chi va al circolo prenderà a cuore i contenuti cristiani che glì saranno spiegati e esemplificati: piano di vita spirituale, mezzi di formazione come la meditazione o il ritiro mensile, una convivenza perlomeno all’anno, il corso di ritiro. E poi, con piena libertà, iniziative sociali, culturali, sportive, assistenziali, che non ostacolino l’impegno di studio. Semplici come le visite ai poveri o la catechesi, oppure di propria iniziativa (facendosi consigliare per viverle con mentalità laicale e senza oneri che porterebbero via tempo e impegno per lo studio).
Ci stai? Che difficoltà hai? (domanda che mette in crisi salutare).
Non si forza, anzi: profondo rispetto della sua libertà!
Diranno che non sono sicuri di farcela e sarà una bella occasione di impostare loro una lotta ascetica positiva, sportiva, umile, libera, gioiosa, contando sulla grazia e non sulle nostre opere.
Del resto li si aiuta ad essere veramente liberi di scegliere. Fondamentale lasciarli riflettere, ascoltare eventuali obiezioni, che lo vedano nella preghiera con Gesù, che ne parlino col sacerdote. Si dice loro che non vale “provare”; come per l’amore umano. Vale pregare, parlare, leggere il Vangelo. Quando ti illumini e ti convinci liberamente allora puoi iniziare il circolo. Se non ti vedo convinto sono il primo io a dirti di non iniziare. Quando però si decidono si deve notare che sono entrati “in Casa”, con un abbraccio fraterno e presentandolo al direttore e al sacerdote, che gli daranno anche loro un abbraccio (due abbracci è quanto di meglio ci sia per farli sentire “di casa”, con vincolo primario). Il punto di Cammino 808 può opportunamente essere ricordato: «Una buona notizia: un nuovo pazzo…, per il manicomio».
Non si tratta di convincere, di fare proselitismo in modo settario, ma di attrarre alla bellezza del Vangelo che non si può dare se si lascia il cuore con i coetanei del sabato sera o in altri gruppi primari ideologici o di politically correct.
Può sembrare che impostando le cose così avremo molti meno ragazzi di san Raffaele. È esattamente il contrario. Se si offre un po’ di formazione per poi avere qualcuno che diventa numerario o aggregato o soprannumerario, i ragazzi saranno sempre pochissimi e pochi di questi metteranno il cuore in “casa”. Noi siamo capaci di suscitare una risposta celibataria mentre abbiamo timore di allontanare quelli che si avvicinano, se facciamo una proposta più robusta. È il contrario. Nostro Padre otteneva che un ragazzo mettesse il cuore “in casa” in pochissimi minuti. I fondatori dei movimenti carismatici ottengono decine e decine di migliaia di giovani con una proposta primaria.
Può sembrare che ottenendo una risposta primaria a livello di san Raffaele poi i giovani facciano più fatica a chiedere l’ammissione da numerari o aggregati. Il contrario: una volta messo il cuore “in casa” si è pronti a tutto (come dimostrano i giovani di tutto il mondo quando diventano mormoni, o testimoni di Geowa, o terroristi, o comunisti, o semplicemente pronti a drogarsi per non essere emarginati dal gruppo primario dei coetanei. In positivo ciò vuol dire che invece di mille ragazzi di san Raffaele a livello secondario se ne possono avere diecimila a livello primario, pronti anche a diventare numerari o aggregati se idonei a tale vocazione specifica18.
Tutto sta, però, nel credere nella vocazione universale (personalissima per ogni battezzato, ma in comunione primaria carismatica) delle persone che si avvicinano all’Opera.
Curare l’ambiente dell’Opera di San Raffaele
Il problema dell’efficacia apostolica non è solo legato al discorso iniziale. Se il ragazzo accetta deve sentirsi accolto in “casa”. Quegli abbracci iniziali sono molto importanti: gli brillano gli occhi! Ma poi ne deve seguire un cambio nel tratto. Più o meno come se avessero chiesto di aspirare alla vocazione celibataria. E questo vale anche per i cooperatori! Occorre che tutto il centro abbia ben chiaro che sono di fatto dell’Opera. Non basta ricordargli il circolo e la meditazione, con qualche chiacchierata di direzione spirituale. Se uno diventa aspirante, dopo un circolo di san Raffaele gli si dice di curare quello o quell’altro, soprattutto la meditazione aperta a tutti, portando amici e curando l’ambiente, di preparare la tertulia, di andare a trovare un ragazzo a casa sua, di organizzare un’attività ausiliaria; e di passaggio gli si raccontano cose di nostro Padre, del nostro spirito, ecc. E se per tre giorni non si fa vivo ci si preoccupa di sentirlo. Ugualmente con i ragazzi di san Raffaele. Richiede attenzione e tempo, ma diventa bellissimo. Si raccoglieranno tante forze apostoliche, tanto ambiente. Del resto oggi vediamo che tutte le cose dell’Opera, tutti gli scritti di nostro Padre (il Padre ha già detto che saranno pubblicate anche le Lettere e le Istruzioni), e perfino le Preci, vengono pubblicate sul sito. Un modo di “metterli in Casa” può essere quello di vedere il sito insieme, o leggere Obras insieme e anche un po’ di Cronica.
Dal primo abbraccio inizia una cura spirituale adeguata in un ambiente “di Casa”. La persona dell’Opera che segue quel ragazzo deve sentire la passione dominante di sostenerlo nel suo slancio e non tradirlo nelle sue aspettative, nelle promesse che ha sentito per chi segue Gesù con lo spirito del Fondatore dell’Opus Dei. In questo ambito la direzione spirituale, il dirigere anime anche da parte dei laici dell’Opera, diventa compito di buon pastore (passione dominante: …dirigir almas…). Bisogna edificare continuamente la “casa”, con vera spiritualità di comunione. Dirigere anime in questo senso non è solo dare consigli, ma fare insieme l’ambiente di casa, sostenere nell’apostolato conoscendo i suoi amici o lanciandosi in iniziative le più diverse per il bene culturale o sociale, ma sempre con dimensione apostolica. Soprattutto occorre curare l’ambiente. La meditazione come ambiente aperto ai loro amici, deve essere “a loro carico”, devono prendersi a cuore che siano tanti i ragazzi che vengono alla meditazione, perché ce n’è un grande bisogno. Lì il numero ha la sua grazia. Se crescono i ragazzi che vengono a meditazione i ragazzi di san Raffaele si corroborano oltre ogni dire. Si parla della sala di studio, anche questa a loro carico. Se uno di loro porta un ragazzo nuovo a studiare e trova la sala di studio ben frequentata, capisce subito molte cose, visto che in parrocchia non si va a studiare. Non è per paragonare, ma per fare capire lo specifico dello spirito dell’Opera.
Vale però il consiglio di nostro Padre di trattare ciascuno come un gioiello, perché ciascuno vale tutto il sangue di Cristo e ci viene affidato da Cristo stesso. Allo stesso tempo l’interessato andrà scoprendo la bellezza del volersi bene, la gratuità dei doni che riceve e sarà facile aiutarlo ad avere animo grande, capace di amare chiunque avvicini. Dal cuore della Chiesa promana il comandamento nuovo, che è compiuto quando si vive nella reciprocità e nel “noi” della comunione in Cristo, ben superiore all’io-tu dell’amicizia, perché vero bene relazionale soprannaturale, fecondo in tanti cuori uniti dallo stesso amore. Ma da esso promana una capacità di amare che deve arrivare anche ai nemici, senza escludere nessuno. E così inizia l’apprendistato del carattere regale anche per l’ultimo arrivato all’Opera di san Raffaele o di san Gabriele.
Per poter creare un vero ambiente “di Casa”, occorre curare molti dettagli: incarichi, tertulie ben preparate, feste delle persone, riscontro (per ogni attività non basta avvertire, telefonare, occorre che si ripassi due o tre giorni prima tutto l’elenco degli interessati), visite ai poveri, catechesi, apostolato personale (che all’inizio può essere molto difficile), iniziative e opere ausiliarie, oltre ai mezzi di formazione e al piano di vita personale. Per tutto questo occorre una cura quotidiana di almeno due persone che si vedano 20 minuti circa (io lo chiamo il “tavolino”, ma è un po’ come immaginarsi Mourinho o Antonio Conte che stanno dietro a mille dettagli per far vincere la loro squadra; spesso manca chi ha tempo e testa per stare dietro; in due si può far meglio) per vedere tutti i dettagli e prepararne l’esecuzione. Fondamentale avere una buona agenda con pagine ben studiate per seguire bene ogni attività, avere un elenco completo dei ragazzi. Un buon planning annuale con gite, convivenze, corsi di ritiro, ecc. fatto in modo molto visibile.
I numerari non più universitari hanno poco tempo e rischiano di fare il minimo di apostolato. Quando un professionista diventa padre trova il tempo per curare la famiglia. Un numerario rischia di diventare zio. Perché sviluppi l’attenzione, la cura e il tempo da dedicare propri di un padre, occorre che nasca il figlio: il padre lo fa il figlio! Se un numerario parla ad un ragazzo e ottiene una risposta di tutto cuore, primaria, sentirà nuove forze, paterne, che gli permettono di curare tanti dettagli. E come i numerari anche i soprannumerari con i cooperatori. E sarà il modo in cui tutta la gente di Casa crescerà sempre più in paternità. Altrimenti si diventa zii. Il primo beneficio è nelle persone dell’Opera. Se si capisce che il tema vale anche per i cooperatori, adeguando il tutto alle circostanze di ogni persona, si può capire l’importanza che ogni numerario, di qualunque età, ogni aggregato e ogni soprannumerario si senta sempre responsabile di un pusillus grex da curare come vero pastore d’anime. Questo mantiene sempre giovani, ottimisti, apostolici. Questo rende le persone dell’Opera “padri e madri”, altrimenti chi non ha compiti di governo rimane “figlio” soltanto, svolgendo un proprio incarico, ma senza un sano protagonismo, da “caudillos”. È la personalità paterna e materna che dà senso compiuto alla vita sulla terra. Per questo non basta l’apostolato personale di amicizia e confidenza, che sarà sempre elemento essenziale per chi si avvicina all’Opera, ma non può sostituire la passione di chi è preposto in nome di Gesù a dirigir almas.
Apostolato di amicizia e confidenza
È fondamentale che i ragazzi diventino subito protagonisti di un’avventura cristiana, col nostro spirito laicale, con forte comunione ma senza esplicite organizzazioni apostoliche. Se il tutto della loro scelta si ritrova nei mezzi di formazione, loro rimangono passivi, a ricevere; e questo non porta molto lontano.
Da una parte un sano protagonismo deve essere proprio per fare qualcosa di bene da soli o con altri, nelle miriadi di attività ausiliarie che nostro Padre prevedeva. Ma ci vuole subito anche l’impegno e il sano protagonismo direttamente apostolico. Per noi questo è l’apostolato di amicizia e confidenza, che però non è di facile soddisfazione se non lo si imposta molto bene. Possono mancare le attività ausiliarie ma non può mancare il compito divino dell’apostolato di amicizia e confidenza. Si può leggere il paragrafo 127 della Evangelii gaudium sull’apostolato “Da persona a persona”.
L’esperienza dice che non si focalizza sufficientemente il rapporto tra amicizia e confidenza e la rapidità, semplice ed efficace, con cui si fa la prima confidenza. Per questo occorre essere pignoli nel distinguere una confidenza (testimonianza) da qualunque altra cosa. Proposte, inviti, lezioni, discussioni, consigli, ecc. non sono confidenze. Confidarsi, nell’apostolato, è sinonimo di testimoniare. La testimonianza attira, non ci pone in cattedra, , fa vedere una cosa bella sperimentata personalmente, e questo attira la considerazione di chi ascolta. Il consiglio invece spinge a fare qualcosa e rischia di innestare un freno dall’altra parte. Per questo Paolo VI nella Evangelii nuntiandidice che il mondo d’oggi non vuole maestri ma testimoni. La testimonianza, naturalmente, deve essere sostenuta dall’esempio, dal modo di vivere, o da una lotta sincera per vivere ciò che si confida, altrimenti diventa ipocrisia, ma sia chiaro che l’esempio non basta: occorre saper fare in modo attraente una piccola confidenza spirituale.
La confidenza non ha per scopo di convincere, ma solo di mostrare. Questo rende molto più liberi e affascinanti.Se si vuole convincere qualcuno è più facile temere una risposta negativa e questo inibisce chi parla o lo rende meno attraente. Una confidenza nasce da una associazione di idee che permette di dire: a proposito di … (mettiamo un problema che rende la vita difficile)…, non so tu, ma a me serve meditare sul Vangelo; mi illumina e mi aiuta a prendere le cose in un altro modo. Se si vuole che anche l’altro si apra, basta terminare dicendo più o meno: scusa, può darsi che tu la pensi diversamente, e lui si aprirà.
La confidenza fondamentale è quella che pone in contato con Gesù vivo, presente. “A proposito di questo, posso dirti che da quando un amico mi ha insegnato a rivolgermi direttamente a Gesù, la mia vita va cambiando”. “Se parlo qualche secondo con Gesù tratto meglio mia madre”. Se non mettiamo le persone in contatto con Gesù, tanti discorsi si sperdono. Nostra Padre diceva che se non facciamo dei ragazzi anime di orazione perdiamo il tempo. Se si interessano a quanto diciamo allora si apre un dialogo diverso. La prima confidenza non è, normalmente, sull’Opera; sarebbe controproducente. È su Cristo. Ma un Cristo vivo, presente. Poi è facile fare orazione insieme. Si può sempre spiegare, a chi ne vuole sapere di più, che la nostra fede è nel Cristo risorto, presente tra noi, con il quale si può parlare a tu per tu.
Importante non aspettare troppo a fare la prima confidenza apostolica. Bastano anche pochi minuti di conversazione amichevole19. Se si aspetta ad essere più amici, si instaura un rapporto che poi rende difficoltoso svelare una nostra posizione di fede dichiarata. Mentre se si è nella prima conoscenza, lui viene a sapere con chi ha a che fare, ma soprattutto noi sappiamo come la pensa e come procedere. Probabilmente oggi si trova solo uno o due su dieci che rimane interessato dal nostro modo di pensare e vivere. Con quello si farà più amicizia. Con gli altri si vedrà strada facendo ma senza dover impegnare molto tempo. Gesù dedica tempo a chi ha un’apertura del cuore. Vede Zaccheo fare un gesto di interesse e si autoinvita a casa sua: casa vuol dire familiarità, amicizia. Così con Nicodemo, con la samaritana. Con chi lo cerca solo per i miracoli, passa e va. Altrimenti si rischia di farsi una ventina di amici lungo la vita (penso anche ai soprannumerari) e di questi due o tre soltanto sono come Zaccheo; qualcun altro verrà a qualche ritiro magari più per farci un piacere che per vero interesse. Mentre se si fanno due o tremila confidenze nuove nella vita, come ho annotato, si finisce con un centinaio di vocazioni a testa.
L’esperienza mi dice che bisogna essere molto pignoli nell’insegnare l’inizio, altrimenti tutto si fa eccetto una confidenza bella e attraente, libera e coinvolgente. Dopo le prime confidenze un po’ stentate, ci si libera e si diventa affascinanti. E il fascino è l’arma più determinante. Penso che se i genitori o i tutor dei Club insegnassero quello che ho scritto nel libretto Liberi dal sarcasmo, potremmo avere poi dei ragazzi molto più liberi di confidare quello che vivono. Immaginate cosa può succedere se tutte le persone di Casa, tutti i cooperatori, tutti i ragazzi di san Raffele imparassero a fare bene una confidenza apostolica in pochi minuti. Ognuna è come accendere un cerino, dicevo. Nel buio un cerino si vede bene e ci si accorge di tutti coloro che dentro hanno desideri nascosti che non osano esternare. Con questi è molto più facile arrivare al discorso di san Raffaele in poco tempo20.
Posso dire, per ottenere un effetto più positivo, che io in tutta la mia vita di direzione spirituale, nonostante abbia fatto varie campagne per insegnare l’apostolato di amicizia e confidenza, l’ho visto fare bene solo a pochi (non dico che ho visto pochi fare apostolato personale, perché tutti lo fanno, ma con la semplicità e l’efficacia che ho descritto non sono tanti), ma questi pochi sono cambiati. Perché una campagna abbia effetto occorre che tutto il consiglio locale, i circoli e colloqui fraterni seguano tutti i dettagli. Sapendo fare bene confidenze apostoliche opportune, tempestive e attraenti si opera la selezione necessaria per il discorso del circolo (di san Raffaele o dei cooperatori).
Bonum ex integra causa, malum ex quocunque defectu
È facile da capire: perché un’auto funzioni occorre che tutte le parti essenziali funzionino. Se salta un filo, se si rompe la pompa dell’olio, se si grippa il motore, se manca la benzina, se manca una ruota o è solo forata, non posso muovere l’auto. Un solo difetto di questi la ferma del tutto, mentre perché funzioni occorre che tutto sia a posto.
Qualcosa di simile succede per l’Opera di san Raffaele. Ci vuole un minimo di condizioni per fare un bel lavoro di san Raffaele. Si parte con due o tre persone, con un certo fascino umano, con idee chiarissime sull’appartenenza primaria, con un po’ di tempo per andare a cercare ragazzi o impostare attività ausiliari che permettano di conoscere gente di valore. A volte tutto questo avviene di fatto. Il fascino di alcune persone di Casa o di san Raffaele, un ambiente ormai fatto, visto che tutti hanno bisogno di un gruppo primario, fa sì che lo trovino proprio nell’opera di san Raffaele. In questo caso anche se le idee sull’opera di san Raffaele non sono a tutti chiare, l’ambiente attira e opera l’inserimento del cuore. Prima dell’ondata della promiscuità totale era molto più facile. Ora diventa sempre più difficile (promiscuità, gruppi primari di coetanei chiusi su se stessi, sesso facile e veloce, secolarismo invadente, meno numerari giovani che fanno questo lavoro, numerari capaci ma senza tempo, ecc.) e pertanto solo chi prende coscienza di come si forma un gruppo primario può operare al meglio. Però a volte manca qualche elemento necessario. Perché ci sia ambiente e spiritualità di comunione non basta la capacità apostolica di uno di casa, se rimane il suo un apostolato personale. Occorrono perlomeno due che sappiano collaborare, con del tempo a disposizione. Come dicevo lo indico come “tavolino”: due che si vedono tutti i giorni o quasi per seguire ogni particolare (dicevo di Mourinho o Paolo Conte a star dietro alle loro squadre, curando mille dettagli). Occorre credere molto in attività ausiliarie ben mirate, valide professionalmente perché siano anche efficaci apostolicamente, sia per far crescere con sano protagonismo e senso di responsabilità i ragazzi di san Ra già esistenti che per conoscerne nuovi di selezione. Ci vuole molta testardaggine sui dettagli, riscontri su chi viene a meditazione, al ritiro, a una gita, ad una attività. Il riscontro lo vedo poco praticato: qualche giorno prima occorre avere una lista completa delle persone interessate a quella attività e verificare insieme (in Spagna lo sanno fare molto bene) se quello è stato avvisato e cosa dice. Per alcune attività occorre partire con molto tempo per fare più di un riscontro in modo che la gente capisca che riguarda veramente tutti (qualcuno ricorderà come si prepararono le prime novene dell’Immacolata). Lo spirito di corpo non scatta se si presentano tante cose, già sapendo che molte non si riescono a fare.
Un’Opera di san Raffaele fatta bene cura in parallelo l’umano e il soprannaturale: con la meditazione c’è la tertulia, col ritiro mensile la gita mensile, con il corso di ritiro la convivenza. I ragazzi lo possono capire, e soprattutto vivere.
Sono tutte cose ovvie, ma non sempre si curano tutte. Le falle allentano la forza dello spirito di corpo e l’efficacia dell’ambiente e della formazione. Avere il cuore in Casa è una cosa molto seria. Basti pensare cosa facciamo noi numerari per l’Opera di san Michele. Occorre curare molti dettagli, soprattutto di attenzione personale, incarichi, iniziative. Se chi porta avanti l’Opera di san Raffele non ha coscienza di come sia vera vita di famiglia e di come si facilita la scelta dei ragazzi a farne parte (è un fatto comunque vocazionale, di vocazione alla santità, consono ad un passaggio dalla religione cristiana alla fede cristiana) si finisce per perdere quasi tutte le forze.
L’impressione (da verificare bene) è che in Spagna i Club (che vanno fino ai 17 anni) formino vera appartenenza primaria, fin dall’inizio. Ci sono sedi grandi, adatte, frequentate tutta la settimana. Per noi il Club difficilmente arriva ad essere primario nel cuore dei ragazzini, perché si apre uno o due giorni la settimana e non sempre il clima della famiglia alle spalle, del coinvolgimento dei numerari e dei tutors, sono di vero spirito di corpo. In Spagna, per esempio, se ho notato bene, una residenza di universitari è portata avanti da alcuni numerari che vi si dedicano a tempo pieno, in condivisione di vita e divertimento con i residenti di san Raffaele. Da noi spesso la residenza è l’unico centro dell’Opera in una città e i numerari si dedicano a tutto. Il che non facilita l’avviarsi di un gruppo primario col suo statu nascenti, che noi in genere otteniamo solo col la vocazione nella Prelatura.
L’Opera di san Raffele può funzionare anche senza casa materiale. Tuttavia, se casa c’è, anche la prossemica (scienza dello spazio) ha la sua importanza. Sappiamo tutti che ci sono tre stanze fondamentali: oratorio, soggiorno, sala di studio, che corrispondono alle tre cose che chiediamo ai ragazzi di san Raffaele: amicizia con Gesù, amicizia tra noi e nell’apostolato, studio come caratteristica di servizio proprio di chi segue il Vangelo con lo spirito di san Josemaría. Nel presentare la casa ad un ragazzo nuovo si può approfittare delle tre stanze per far capire le tre cose che ci interessano. Gli architetti sanno delle tre stanze, ma non sempre capiscono cos’è un gruppo primario che utilizza di questi tre ambienti fondamentali. Specie nelle residenze, è difficile trovarne una che offra una propria casa ai ragazzi di san Raffaele, specie liceali, senza doversi sentire ospiti dei residenti o dei numerari.
Diventa poi, col tempo, molto importante il tema della fedeltà e della perseveranza di coloro che chiedono l’ammissione alla Prelatura. Il gruppo primario di san Raffaele deve essere cammino di santità, ma non la garantisce, ma neppure l’aver chiesto l’ammissione all’Opera garantisce la santità. Per questa occorre la “seconda chiamata”, come la spiego nel libro Saper di Amore). Certamente quelli che chiedono l’ammissione con lo statu nascenti dell’appartenenza primaria sono più sensibili ad entrare in crisi quando vedono l’istituzione prevalere sulla comunione (cosa che a volte succede). Quelli che chiedono l’ammissione da solitari, convinti da dentro, con un loro fuoco dentro, reggono un po’ meglio (ma solo un poco). Ma sul problema della perseveranza, della notte oscura dei sensi (quando si entra in crisi dentro la propria “casa”) scrivo abbondantemente nel libro Saper di Amore. Infatti non basta aver capito profondamente che l’apostolato con i giovani dipende dal far loro vivere l’Opera di san Raffaele col cuore in Casa, capendo noi bene cos’è una comunione primaria e capendo altrettanto bene come parlare ad un giovane per porlo di fronte ad una scelta primaria. Questo porta a fare un gran bel lavoro con i giovani. Ma poi crescono e col solo gruppo primario inteso socialmente, per quanto ad etichetta cristiana, non ci si santifica ancora. Ma questo è un tema tutto interno all’Opera stessa, che si può penetrare leggendo Liberare l’Amore.
Sommario
Come parlare ai ragazzi del circolo 152
Curare l’ambiente dell’Opera di San Raffaele 159
Apostolato di amicizia e confidenza 161
Bonum ex integra causa, malum ex quocunque defectu 162
1 Riporto parole del Cardinale Angelo Scola: “Ciò che in famiglia ho respirato fin da piccolo è la certezza di come la vita tutta sia vocazione. Ho sperimentato, vedendo la fede in azione di mia mamma, il modo di lavorare di mio papà, l’impegno realmente gratuito in politica di mio fratello, cosa vuol dire che o la vita la doni o il tempo te la ruba. Che solo donandola, la vita trova un senso. Questa per me è la questione “vocazionale” decisiva, propria della sfida educativa di una famiglia che “rischia” e “lancia” i figli verso la vita. A quale stato di vita sia chiamato, ogni giovane potrà, poi, scoprirlo serenamente nel tempo se è educato a essere leale con la realtà. Perché la realtà, la mano di Dio nella storia, è tenace e sa condurre chi si lascia condurre”.
2 Un bell’esempio dalla Cina: Un bambino va alla lezione di catechismo della missione, ignorando che il sacerdote è stato imprigionato. Alcune guardie comuniste lo fermano e gli domandano: “Dove vai?“ “Alla catechesi”. “Ormai non c’è più la catechesi”. “Allora vado a vedere il sacerdote”. “Non c’è più il sacerdote”. “Allora vado alla chiesa”. Non c’è più la chiesa”. E il bambino cinese risponde: “Io sono battezzato. Io sono la Chiesa”. Aveva fatto bene il catechismo!
3 A conferma di ciò si può citare il canone 219 del Codice di Diritto Canonico: “Ogni fedele gode del diritto di non subire alcuna costrizione nelle scelte di stato”. Neppure piccole o grandi costrizioni psicologiche o morali.
4 L’atteggiamento giusto di un giovane cristiano è quello di porsi in atteggiamento vocazionale: Gesù mi chiama nel suo Regno ed è Lui che mi assegna un compito, nel celibato o nel matrimonio, dandomi però la grazia e la libertà di farlo come vuole Lui. Aver paura che chiami al celibato è da sciocchi. Se Gesù chiama dà anche la libertà per farlo, ed è un dono. Senza vera libertà non si fa nulla. Ma se non si è disposti a lasciare a Lui la scelta risulta che non ci si può santificare neppure nel matrimonio. Non si può dire a Gesù: ti dò tutto eccetto il matrimonio, perché quel matrimonio sarebbe un possesso personale. Il bello è che la maggior parte è chiamata al matrimonio, ma per timore di essere chiamati al celibato mettono le mani avanti e rimangono fuori dal sogno cristiano, dal Vangelo. Lungo i secoli questa paura di una vocazione sacerdotale o al convento ha paralizzato la fede di innumerevoli giovani cristiani. Per tutto questo rimando all’ultimo paragrafo del libro “Il Sogno dell’amore per sempre”.
5 Gesù ci salva e ci santifica per grazia, non per merito nostro. Però vuole la nostra libertà, che noi si voglia e glielo si dica (fa parte della vita di orazione). Non ci vuole passivi; il dono gratuito non è come un regalo di chi ha soldi e regala anche senza attesa dall’altra parte. Il dono richiede un cuore che si apre. Però non bisogna pensare che Gesù stia ad aspettare che io dimostro di volere veramente vivere con Lui. Noi siamo peccatori, e facilmente ci ritroviamo nell’egoismo, nelle nostre cose. Il cristiano lotta, però è sempre pieno di fiducia, perché non si tratta di meritare o dimostrare qualcosa. Si è vivi, si lotta, ma più nel ricominciare, nello scoprire la bellezza delle virtù umane e cristiane, nel volere imparare ad amare gli altri. La bellezza continuamente riscoperta ci rimette in movimento, ci dà la libertà di volere le cose belle. Nei momenti più bui si conta sempre con l’aiuto che la Chiesa ci dà, con la confessione, con la direzione spirituale, con l’esempio dei santi, con l’eucarestia, con Maria.
6 Un tema che frena enormemente oggi la scelta liberante di Cristo è quello della sessualità esercitata prima del matrimonio. Vista nel paradigma della cultura imperante può sembrare non solo difficile vivere castamente un fidanzamento, ma addirittura assurdo e fuori dal tempo, come pura imposizione della Chiesa. Vista invece dalla parte del vero amore umano, vincolo familiare per sempre, diventa una vera avventura, un progetto per tutta la vita, una crescita nella capacità di amare. Basta vedere la realtà delle famiglie cristiane che sposano la verità di Dio sulla famiglia (come la chiama ripetutamente Giovanni Paolo II nel documento più importante sulla famiglia, la Familiaris consortio) nei cammini primari carismatici: sono fedeli e felici al 98%, mentre le altre, anche con matrimonio in Chiesa, riescono discretamente solo al 20%. Il 40% si separano e altrettanti stanno male. Dovrebbe bastare questo dato per far aprire gli occhi ai giovani d’oggi. Se pensi pochi minuti all’uomo-donna, o a genitori-figli, come Dio li vuole, è da urlo, tanto è bello. Eppure oggi “il mondo” ha fatto dell’amore umano la causa di gran lunga peggiore di tutti i mali che l’umanità abbia mai conosciuto. L’amore rifiutato è la sofferenza più acuta. Avrai conosciuto qualche amico lasciato dalla sua ragazza, roba da depressione. O dei bambini con i genitori separati, non c’è canagliata più grande per loro. Ma si può benissimo andare controcorrente e sognare le cose belle della vita, se si trova un cammino primario in Cristo. La realtà è che i giovani hanno paura a sposarsi, non parlano più di amore per sempre per paura di non farcela, si educano al massimo egoismo che è il sesso fine a se stesso; parlano di amore ma non sanno di cosa parlano, se non di quello che a volte sentono come sentimento. E poi pensano che di amore sanno tutto, ma pensano che è aleatorio, dimostrando di non sapere praticamente nulla del vero amore. Amare è un verbo, mentre il sentimento non è un verbo. Il tema è fondamentale per il futuro dei giovani, ma non si può illustrare in poche righe. Chi legge Il Sogno dell’amore per sempre, di Ugo Borghello, scopre mille argomenti per un disegno di amore vero e duraturo. Chi si imbarca con Cristo oltre all’ideale cristiano di un Vangelo vivo ritrova la bellezza e la forza del vero amore umano. La vita cristiana è per tutti, per i peccatori; è compatibile con la nostra debolezza e anche con cadute di fragilità, pur di riconoscerle sinceramente e portarle schiettamente alla confessione.
7 Un bel segno di passaggio dalla religione alla fede è la scelta spontanea e libera di frequentare la santa messa anche in giorni infrasettimanali. I primi cristiani andavano a messa tutti i giorni, come si legge negli Atti degli apostoli. La messa della domenica è il centro della religione e della fede, ma in genere chi si riduce ad essa la prende solo come momento doveroso di rapporto dall’esterno con Dio, con un rito che non mette in contatto vivo, di fede, con Gesù. Qualcuno che va al circolo può vedere nella direzione spirituale se collocare nella settimana qualche giorno per andare a messa. In genere, quando matura bene questa scelta, si nota un notevole beneficio spirituale.
8 Nostro Padre ci diceva: quando morirete vi prenderanno per il bavero in molti e vi diranno: siamo stati 10 minuti insieme sull’autobus e non mi hai detto niente. Ora si vede che tu sapevi molte cose. Tu vorreste andare in cielo e lasciarmi da solo in purgatorio. Come dire: facciamo metà e metà. Solo che quello con metà va in cielo, mentre noi rischiamo di fare a metà con circa 3000 persone (semplice calcolo pensando che un cristiano se appena si sforza potrebbe fare una confidenza ogni settimana ad una persona mai conosciuta prima).
9 Una particolare importanza del saper fare bene la prima confidenza lo si ha quando facciamo attività ausiliarie. Prendiamo un corso di orientamento universitario. Vengono qualche decina di persone. In genere si riesce a continuare il tratto con una o due, che magari non erano le più aperte al nostro spirito. Si cerca di invitarle ad una partita, ad un altro incontro… Se invece nello svolgimento dell’attività i ragazzi che vanno al circolo facessero con disinvoltura una confidenza sulla fede (non sull’Opera, che viene dopo, come mezzo per cercare Gesù), si individuerebbero subito coloro che liberamente gradiscono di parlare di vita cristiana e rimandarli ad un incontro personale su questo tema, senza strumentalizzare l’attività culturale all’apostolato.
10 È noto il punto 301 di Cammino: «Un segreto. – Un segreto a gran voce: queste crisi mondiali sono crisi di santi. Dio vuole un pugno di uomini “suoi” in ogni attività umana. – Poi… “pax Christi in regno Christi” – La pace di Cristo nel regno di Cristo». Lo si cita per parlare di santità mentre difficilmente si pone in rialto quel “pugno di uomini ‘suoi’”, che indica un nucleo di comunione primaria carismatica. E questo in tutte le attività umane!
11 In una intervista al Card. Ouellet possiamo trarre alcune considerazioni importanti. Domanda: Il suo ruolo di Prefetto della Congregazione per i Vescovi La mette in condizione di conoscere la realtà ecclesiastica di tanti Paesi e conoscere i vescovi da tutto il mondo. Da questo Suo punto privilegiato d’osservazione come vede la situazione della Chiesa cattolica e lo “stato della fede” nel mondo? Card. Marc Ouellet: C’è una crisi di fede, specialmente nel mondo Occidentale. Perciò non a caso da anni si parla della nuova evangelizzazione e Benedetto XVI ha proclamato l’Anno della Fede. La situazione è preoccupante e questo si vede nel calo delle vocazioni e nelle difficoltà che riscontrano i sacerdoti (io direi che la situazione è drammatica, se pensiamo a come pensano i ragazzi d’oggi, come si vede il matrimonio, come si è capovolta la maternità in senso autoreferenziale, per dar un senso alla madre con un figlio, senza dono e gratuità, ecc.).
Penso che la nuova evangelizzazione si potrà fare sulla base della rinnovata e più intensa comunione ecclesiale. Vanno bene le idee nuove, i progetti nuovi, ma ciò che convince è la vera comunione dentro la Chiesa. Se noi non siamo in comunione gli uni con gli altri allora la presenza di Dio non è palpabile e la Buona Novella del Vangelo non passa. (parole sante, che avvallano quanto dico, ma che non servono praticamente a nulla, perché non si sa distinguere una comunione primaria da riunioni di catechesi o poc’altro).
Domanda: I documenti che producono i vari organismi della Chiesa, i convegni che si organizzano, tante belle parole che si sentono, non suscitano la fede di un uomo di oggi (come dico: tante Encicliche e miriadi di libri servono solo per chi è già “primario”, fuori è nebbia fitta). La gente trova la fede, si avvicina alla Chiesa grazie ai veri testimoni del Vangelo. Come far diventare i credenti gli autentici testimoni del messaggio evangelico? (non è la testimonianza del singolo che prende il cuore, ma l’accoglienza di un gruppo primario carismatico; semmai dove c’è un vero testimone è perché vive un vincolo di carità forte oppure lo suscita intorno a sé con la sua vita santa)
Card. Marc Ouellet: La famiglia è la chiave per il futuro dell’evangelizzazione. Oggi c’è la crisi antropologica: l’assenza di Dio fa sparire anche il senso dell’uomo. Quindi c’è bisogno di ritrovare l’identità dell’uomo. Tale identità è sempre in relazione con gli altri e le relazioni fondamentali sono le relazioni familiari. Bisogna riscoprire la grazia di Dio nel sacramento del matrimonio che è la chiave per il futuro. Da famiglie nuove e generose nascono vocazioni. (ma la famiglia vive sempre in un gruppo primario sociale più esteso, anche se spesso poco configurato, ma potente; il problema è proprio come far fiorire famiglie cristiane in gruppi primari cristiani, perché non basta una famiglia per educare i figli, come dice il proverbio africano: una madre per generare un figlio, una tribù per educarlo. Dice bene il cardinale che l’identità personale è in relazione con gli altri, ma non basta pensare alla relazione primaria in famiglia)
Lei, Eminenza, viaggia spesso e conosce bene le realtà ecclesiali nel mondo. Dove vede i segni di speranza nella Chiesa?
Card. Marc Ouellet: Li vedo prima di tutto nei grandi movimenti ecclesiali, nelle molte nuove comunità (penso ai Focolarini, a Comunione e Liberazione, alla Comunità di Sant’Egidio, il Cammino Neocatecumenale, al Movimento Carismatico, in Polonia a Fede e Luce). Lì c’è una nuova evangelizzazione in atto che già produce i frutti: ho potuto constatare questo in vari parti del mondo. In queste realtà c’è la spinta verso la vita evangelica e la vita di famiglia, nascono le vocazioni nuove.
La realtà del Vangelo è l’incontro con Gesù, il Risorto, che affascina e che fa nascere la comunione. E dove c’è la comunione c’è la Chiesa. Le nuove comunità sono la nuova realtà della Chiesa che può rivitalizzare le parrocchie e il tessuto ecclesiale. (proprio quello che dico: solo che non si pone il problema di come suscitare una comunità primaria nelle parrocchie, perché si parla solo di comunione e non di comunione primaria. Tutti parlano di comunione, comandamento nuovo, fraternità, ma se non si distingue il legame primario si rimane di fatto fagocitati da un legame sociale secolarizzato con l’inganno di una infarinatura cristiana con qualche attività in parrocchia o qualche ritiro mensile con l’Opus Dei).
12 Facilmente si possono leggere queste parole pensando che il legame primario è quello di un matrimonio santo o quello dell’Opera di sm; in questo caso ai ragazzi di sr sarebbe riservata una formazione per prepararli a quelle scelte. Ma se si legge meglio, con quel principio de compromiso, si capisce che già i ragazzi di san Rafaele sono di fatto Opus Dei; Gesù può già contare su di loro perché qualcuno in nome suo conta su di loro; hanno un compito divino. Dobbiamo rendere operativa la forza del battesimo. Dire “Opera di san Raffaele” vuol dire scegliere il cammino dell’Opera, e non solo un po’ di formazione. Un cammino cristiano basato sul battesimo e sullo spirito di san Josemaría, che rende possibile la chiamata universale alla santità. La chiamata universale alla santità viene meno se la riserviamo per chi entra nella Prelatura; il battesimo da solo non basterebbe. Per il vivere il battesimo santamente occorre un cammino di comunione primaria, ma non il celibato o la vocazione specifica dei soprannumerari. La chiamata universale non è astratta, è proprio per ciascuno, anche se non è configurata con un compito specifico.
13 Varie persone (specialmente sacerdoti secolari) mi hanno detto che quello che diciamo è molto bello e giusto, ma una volta acquisito nella catechesi della Chiesa non c’è più bisogno che ci sia un Opus Dei distinto dal lavoro della diocesi. La realtà è che non si tratta di un ideale da catechismo, ma di amore e santità, che si può vivere solo con spiritualità di comunione. Questo porta a tante realtà carismatiche; alcune sono più configurate pastoralmente e pertanto con qualche problema di unità pastorale con le diocesi. Il bello dell’Opus Dei è che si intreccia perfettamente con la pastorale della diocesi, pur arricchendola col compito proprio della Prelatura di fomentare la santificazione nel lavoro e nella vita quotidiana. Solo che questa santificazione non può essere senza spiritualità di comunione: l’Opera accompagna non dall’esterno, con una formazione dottrinale e ascetica, ma dall’interno, col far essere Opus Dei tanti laici, membri o meno della Prelatura. Senza legame primario non ci si santifica; e il miracolo dell’Opera è di comunione primaria senza strutture sacrali o ecclesiastiche, in modo che il fedele viva l’avventura dell’amore soprannaturale (di condivisione) e allo stesso tempo si ritrovi ad essere un fedele normalissimo nella propria diocesi d un cittadino a pieno titolo laicale.
15 Anche La Novo millennio ineunte di san Giovanni Paolo II propone chiaramente una vita di fede viva, che punta alla santità con spiritualità di comunione (descritta proprio come appartenenza primaria carismatica), ma non dice come proporre l’inizio del cammino. Si può constatare che proprio la mancanza di riflessività sulla proposta iniziale ha reso sterile questo documento in sé stupendo. Occorre molta più riflessività su come tutti hanno il cuore legato da una appartenenza primaria, che impedisce di assimilare le catechesi e le esortazioni dei ritiri o altro. Inoltre occorre riflettere a fondo su come sia diverso nella Chiesa, e nell’Opera, appartenere in modo primario a livello carismatico (cammino di santità, col carisma di Pentecoste, con il comandamento nuovo che rende “di Casa”) oppure appartenere a livello socio-sacrale, nella tradizione cristiana legata alla religione più che alla fede viva. Poi occorre una terza riflessività su come ottenere che il cuore si agganci all’appartenenza primaria carismatica. Infine occorre molta riflessività su come condurre nel tempo un cammino di santità, facendo in modo che l’istituzione sia sempre a servizio della comunione (il sabato è per l’uomo) e non la soffochi. Il demonio usa la responsabilità dell’istituzione per togliere la carità, per far soffrire le persone, provocando anche l’abbandono del cammino.
16 L’atteggiamento giusto di un giovane cristiano è quello di porsi in atteggiamento vocazionale: Gesù mi chiama nel suo Regno ed è Lui che mi assegna un compito, nel celibato o nel matrimonio, dandomi però la grazia e la libertà di farlo come vuole Lui. Aver paura che chiami al celibato è da sciocchi. Se Gesù chiama dà anche la libertà per farlo, ed è un dono. Senza vera libertà non si fa nulla. Ma se non si è disposti a lasciare a Lui la scelta risulta che non ci si può santificare neppure nel matrimonio. Non si può dire a Gesù: ti dò tutto eccetto il matrimonio, perché quel matrimonio sarebbe un possesso personale. Il bello è che la maggior parte è chiamata al matrimonio, ma per timore di essere chiamati al celibato mettono le mani avanti e rimangono fuori dal sogno cristiano, dal Vangelo. Per tutto questo rimando all’ultimo paragrafo del libro “Il Sogno dell’amore per sempre”. Non è il caso di parlare così per farli andare al circolo, ma occorre aver presente che questa è la vera disposizione cristiana e può servire poi per fare discernimento vocazionale con ogni ragazzo di san Raffaele.
18 Quando il Padre ci chiede 500 vocazioni occorre rifarsi ad un’Opera di san Raffaele come cammino di santità. E si vede chiaro come la meta sia possibile.
19 Nostro Padre ci diceva: quando morirete vi prenderanno per il bavero in molti e vi diranno: siamo stati 10 minuti insieme sull’autobus e non mi hai detto niente. Ora si vede che tu sapevi molte cose. Tu vorreste andare in cielo e lasciarmi da solo in purgatorio. Come dire: facciamo metà e metà. Solo che quello con metà va in cielo, mentre noi rischiamo di fare a metà con circa 3000 persone (semplice calcolo pensando che uno di Casa se appena si sforza potrebbe fare una confidenza ogni settimana ad una persona mai conosciuta prima)
20 Una particolare importanza del saper fare bene la prima confidenza lo si ha quando facciamo attività ausiliarie. Prendiamo un corso di orientamento universitario. Vengono qualche decina di persone. In genere si riesce a continuare il tratto con una o due, che magari non erano le più aperte al nostro spirito. Si cerca di invitarle ad una partita, ad un altro incontro… Se invece nello svolgimento dell’attività le persone di Casa e i ragazzi di san Raffele o i cooperatori facessero con disinvoltura una confidenza sulla fede (non sull’Opera, che viene dopo, come mezzo per cercare Gesù), si individuerebbero subito coloro con cui si può parlare facilmente di vita cristiana e rimandarli ad un incontro personale su questo tema.